Drammatico, Recensione

SUSSURRI E GRIDA

Titolo OriginaleViskningar och rop
NazioneSvezia
Anno Produzione1972
Durata106'

TRAMA

Le due sorelle ed una serva devota sono al capezzale dell’agonizzante Agnese.

RECENSIONI

Apre, autunnale, sul dolore d'una morente. Attorno a lei tre donne che, composte in un autoritratto, attraverso delle dissolvenze in rosso, ricordano o sognano dei brani utili a ricomporre il puzzle delle loro dinamiche relazionali, accendendo uno spot sulla loro anima. C'è Maria, bella e lasciva, sfuggente e codarda, tormentata dal fantasma del marito suicida. Il rosso è il suo colore. Nel rosso sono immersi gli ambienti che vivono, come lei, di apparenze. È pregnante e sorprendente la descrizione che fa di lei il medico, costringendola a specchiarsi. Karin, invece, è fredda (frigida), distante. Il suo silenzio è odio, il silenzio di Dio. Si flagella la vagina, grida, la sua disperazione è mancanza d'amore che s'esprime attraverso il masochismo, la sua attrazione morbosa verso la sorella evoca sapori saffici ed incestuosi, ma si tratta, più semplicemente, di spasmodico bisogno di calore umano, lo stesso che la serva offre alla moribonda appoggiandole il capo sul proprio seno prosperoso, materno, chiudendo il quadro con un'icona da "Pietà". È questa cameriera a sognare la parabola rivelatrice del mistero (della fede): la morta (la Morte, Dio) chiede un contatto con i vivi, la sorella "cieca" si sdegna, quella "muta" fugge. Solo la fede dona l'accettazione della morte, solo chi dà amore (la serva, che ha perso una figlia) può lenire il freddo isolamento senza chiudersi in ricordi egocentrici. Il microcosmo, il quadrilatero femminile di Bergman condivide la solitudine ma si divide fra mutuo calore (la malata ha l’affetto, la serva cacciata con ingratitudine il tepore del ricordo) e gelo che proietta nel vuoto (colori rosso e blu). Gli uomini, comprimari in tutto e per tutto, mangiano avidamente e affondano nelle maschere che indossano. Fra grida di aiuto e sussurri di pietà (“sussurri e grida” descriveva, in una recensione, un quartetto d’archi di Mozart), il lugubre requiem (o via crucis) di Bergman indugia, anche estenuante, su particolari che si fanno rituali (vedi lo svestirsi di Karin) e rivela, in una sorta di colpo di scena finale, che la malattia potrebbe essere la manifestazione di un amore non ricambiato, la stessa di cui ha sofferto il Cristo.