Horror

SURVIVAL OF THE DEAD

Titolo OriginaleSurvival of the Dead
NazioneU.S.A./Canada
Anno Produzione2009
Genere
Durata90'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

[Film non uscito nelle sale italiane] Su un’isoletta al largo della costa nordamericana i morti tornano a minacciare i vivi, ma gli abitanti dell’isola non riescono a sterminare i propri cari defunti nonostante il crescente pericolo che proviene proprio da quelli che un tempo amavano. Un isolano ribelle dà la caccia a tutti gli zombie che riesce a trovare e perciò viene bandito dall’isola, dopo avere assassinato i suoi vicini e i suoi amici. Sulla terraferma l’uomo si imbatte in un gruppetto di sopravvissuti che vanno in cerca di un’oasi in cui iniziare una nuova vita ma superano a malapena l’attacco di una massa di famelici mangiatori di carne umana… Il gruppo requisisce un traghetto infestato dagli zombie e salpa alla volta dell’isola.

RECENSIONI

Germinato su un frammento di Diary of the dead, questo Survival of the dead (capitolo sesto della saga degli zombie e ingresso tardivo di Romero nell'Olimpo Autoriale Da Festival) ne prosegue il discorso, fagocitando il pericolo all'interno della società civile ed eliminando quasi del tutto la dialettica interno/esterno: zombie ovunque, anche dietro i fornelli. Al contempo, però, Survival rappresenta uno scarto: Romero, col suo budget da bassa exploitation, guarda al cinema classico, sbarca i suoi morti viventi e i suoi caratteri caricaturali da film di serie B in un contesto western d'altri tempi, una comunità isolata, uno scontro fratricida, vecchi cowboys intestarditi nelle proprie convinzioni. Chi vuole sterminare gli zombi per sfruttare economicamente l'isola, chi vuole educarli per non rinunciare ai propri cari, sebbene di questi non ne rimanga che il corpo sfatto e l'ombra di qualche coazione a ripetere. Ed è subito metafora. Senza, però, l'immediatezza di lettura de La terra dei morti viventi, adattamento dell'immaginario post- 9/11 al mondo degli zombie, né quella di Diary, invettiva a mano armata contro l'universo centripeto della comunicazione: Survival invita il pubblico a ripensare il mondo attraverso i suoi personaggi, è un apologo autoconcluso che si fa discorso morale polivalente, applicabile a questioni, temi e tempi disparati. Derive splatter e fugaci momenti d'azione passano in secondo piano, corollari necessari, ma pur sempre corollari di un racconto statico, pagina di un ipotetico Vangelo secondo Romero, insegnamento ad alto tasso simbolico, parabola: Survival è la più intensa affermazione della poetica romeriana, la presa di coscienza dell'autosufficienza di un edificio simbolico, il ritorno all'immediatezza del film del '68 (connotato di riferimenti politici solo col senno di poi) con la consapevolezza estrema, però, di un cinema che è diventato davvero classico, di un cinema che sa che i significanti messi in gioco andranno a produrre significati attraverso gli occhi di chi guarda, di un cinema che, nonostante tutto, al contempo, postula uno spettatore attivo, invitato a declinare il mito secondo sensibilità. Il cinema di un maestro, in ogni senso.

George A. Romero torna per la sesta volta sul luogo del delitto. Come per il precedente, e da noi inedito, Diary of the Dead dietro non c’è una major, ma si tratta di un’opera auto-prodotta con, si suppone, poche ingerenze nella libertà espressiva del creatore (regista suonerebbe un po’ limitativo). Nel nuovo capitolo Romero fonde il genere western con l’horror, anzi, fa in modo che il primo diventi preponderante sul secondo. Pochi, infatti, i brividi, nonostante le molte concessioni allo splatter (maggior pregio dell’opera, il che deve far riflettere), con la sceneggiatura concentrata soprattutto sulla sfida all’ultimo proiettile tra due uomini che si contendono il potere su un’isola in cui una comunità di sopravvissuti all’ecatombe cannibalesca ha trovato rifugio. Entrambi irremovibili e senza scrupoli, nutrono un reciproco odio atavico che li porterà a combattersi senza esclusione di colpi. A corollario della sfida infernale, un gruppetto di varia umanità non particolarmente interessante cui rubano la scena, in più occasioni, proprio i morti viventi. Gli zombi, infatti, nonostante le accelerazioni di remake e affini, si mantengono fedeli al Romero’s touch. Vagano lentamente e paiono innocui. L’importante è mantenerli a debita distanza perché il loro morso provoca un contagio immediato per cui non esiste antidoto, ma si ventilano ipotesi di possibile convivenza. Nella negatività che emerge, sono ovviamente più innocui gli zombi degli umani che si rivelano profondamente cinici, disillusi e spietati. Assunto banalotto a cui si arriva per strade piuttosto prevedibili battute da personaggi scialbi (non basta una donna lesbica e cazzuta per aggiornare il materiale umano ai tempi) e interpreti incolori. C’è chi continua a vedere nello sguardo di Romero un’arguta allegoria del presente, una feroce critica all’attuale sistema di valori e alla politica fino a poco tempo fa guerrafondaia degli Stati Uniti, e il regista strategicamente, forse anche con sincerità, conferma (in conferenza stampa al festival di Venezia). Oltre al fatto che sarebbe perlomeno originale, comunque rivoluzionario, trovare una volta tanto un regista di horror che non si attacca al lato politico per far digerire a pubblico e critica la violenza esibita con compiacimento, bisogna sottolineare come la visione di Romero, pur coerente a uno stile che ha fatto scuola, più che aprire gli occhi sulla realtà contemporanea sembra trarne astutamente ispirazione. Uno zoccolo duro di fan, comunque, dimostra di apprezzare. Astenersi gli altri.

Dopo la riflessione meta-cinematografica di Diary of the Dead, Romero torna all’allegoria politica in overdose d’ironia di La Terra dei Morti Viventi, urlando di meno e con idee (sempre) geniali: mentre l’orrore e il terrore sono relegati nelle scene splatter, gli zombi sono solo figuranti, mosche da abbattere. La vera violenza è retaggio dell’essere umano. L’idea è di mettere in scena, nel microcosmo-isola del tutto indifferente all’apocalisse mondiale, una faida che, addirittura, strumentalizza i morti viventi nella contrapposizione ideologica: la famiglia Muldoon, seguendo la religione dei morti per eccellenza, il cristianesimo, non vuole ucciderli (i morti devono restare con noi); gli O’Flynn, invece, vogliono sterminarli come atto preventivo. Romero coglie l’ipocrisia di entrambe, nel momento in cui l’orgoglio e la guerra privata li porta ad uccidere i vivi senza remore. Alla ricerca di gag, l’autore esagera solo con il colpo di scena della gemella O’Flynn, atto a mostrare la competizione fra figlie per l’affetto del padre (tema gratuito) ma la sua resta una sapiente parabola satirica per parlare de I Vivi e i Morti (e scoprire chi possiede veramente un’anima) e la sua saga sui morti viventi evolve di capitolo in capitolo, con il coraggio di introdurre sempre ingredienti originali, inediti (spassosa l’idea degli zombi trattati come bestie di un ranch).