TRAMA
In fuga da un affare di droga andato male, Mike Ross si ritrova a lavorare con Harvey Specter, uno dei migliori avvocati di New York City.
RECENSIONI
It’s America: scorciatoie per le stangate a fin di bene
Stile anni novanta, manca solo Michael J. Fox
Allievo, pigmalione, vincenti, perdenti: il sogno americano per cui sudando (e vivendo solo per il lavoro), prima o poi te la godrai fra ricchi e potenti
Registi: Félix Alcalá, Norberto Barba, Kevin Bray, Anton Cropper, Adam Davidson, Jennifer Getzinger, Dennie Gordon, Nicole Kassell, Roger Kumble, Tim Matheson, Terry McDonough, Christopher Misiano, Cherie Nowlan, David Platt, John Scott, Michael Smith, James Whitmore Jr.
L'irresistibile Harvey Specter di Gabriel Macht, con sorrisetto "vinco sempre io" alla Tom Cruise (citati Jerry Maguire e Top Gun), un mondo di sentimenti da dischiudere
Il tipo bastardo vendicativo, tanto ingiusto quanto spassoso, di Rick Hoffman nei panni di Louis Litt
La Donna Paulsen di Sarah Rafferty fra macchietta, sensualità, bilancia etica. Se Harvey è il numero 1, senza Donna comunque non esisterebbe. Indimenticabile nell'episodio He's Back (2x14), in cui prende a schiaffi lo stronzo di turno
L'efficacia dei "cattivi di stagione" (su tutti, il Daniel Hardman di David Costabile)
Lo scontro etico fra il pivello morale e il navigato pragmatico: magnetismo fra caratteri che sfumano uno nell'altro
Casi giudiziari smart per avvocati smart
I dissimulati toni supereroici: la memoria eidetica è il superpotere di Mike (e il non essere abilitato alla professione un segreto che attiene alla sua vera identità di ex tossicodipendente truffatore), il suo rapporto col mentore Harvey un bromance à la Batman e Robin (e Louis è Pinguino, il villain). Il suit è la divisa d’ordinanza degli avvocati, ma sta anche per “tuta”, il che ci riporta dritti al comic (gli stessi dialoghi vi ammiccano, pullulando di riferimenti cinematografici)
L'impennata della Terza stagione: cambiamenti convincenti, inatteso twist di fine idillio fra i protagonisti, si torna in carreggiata con l'insostenibile fascino dei figli di puttana e si pompa la commedia
La soap sentimentale: funziona meglio come commedia con acidi
Ad un certo punto, dall'episodio 11 della seconda stagione (Blind-Sided), iniziano ad intravedersi le crepe nella tenuta dei personaggi, in primo luogo del Mike di Patrick J. Adams, sempre più moralista con tutto e tutti, insopportabile e sopra le righe oltre le intenzioni degli autori. Nella puntata successiva (Blood in the Water), anche il Luis di Rick Hoffman inizia a perdere fascino, perché gli autori dimenticando di fornirgli alibi/scusanti nelle azioni esecrabili o semplicemente senza senso (Blind-Faith, 3x09)
Nella seconda stagione, nel tentativo (tirando le somme, riuscito) di allargare i propri orizzonti, si perde di vista l'ingrediente che aveva reso superba la prima, il rapporto conflittuale e complice fra i due protagonisti
Il crollo vero e proprio inizia nella quarta stagione, dove Mike smette di essere allievo e diventa un insopportabile gradasso, il dramma sentimentale impazza e i casi processuali si complicano senza essere interessanti: si può smettere, conservando un bel ricordo della serie, o proseguire per constatare come, nella quinta stagione, con azzardo psicanalitico (e relative derive oniriche), si ridiscutano i motivi fondanti della storia, decrittando il non detto delle relazioni tra i personaggi e svelando scenari passati. Da un certo punto di vista è un modo interessante di gestire la crisi creativa che la serie comincia a patire: quello di un lucido autolesionismo volto a smantellare, pezzo per pezzo, il mondo narrativo creato all’inizio. Fino alle macerie degli ultimi episodi.
with a little help of Luca Pacilio
