TRAMA
1983: A Hawkins, Indiana, in un laboratorio segreto, “qualcosa” uccide un ricercatore mentre, dallo stesso laboratorio, fugge una strana bambina. Poco dopo, il dodicenne Will Buyers sparisce misteriosamente nel bosco.
RECENSIONI
Parlare di Stranger Things sembra facile. A metà del primo episodio ti sembra già di aver capito tutto. Dal font dei titoli di testa, ai ragazzini protagonisti, ai poster sulle pareti, alle musiche intra- ed extradiegetiche, al taglio delle inquadrature, passando per la fotografia, le luci, il lens flare. Tutto, ma davvero tutto, parla di un’operazione alla Super 8 ancora più estrema, ancora più mimetica. Ricreare l’immaginario cinematografico anni ’80, con Spielberg in prima linea, ma senza dimenticare Rob Reiner, Richard Donner, John Carpenter, Joe Dante, John Landis e Wes Craven ma anche Frank Oz, Jim Henson, Ridley Scott, Ken Russell, Mark Lester, Tobe Hooper, David Cronenberg, George Lucas e Sam Raimi. Di qua spunta un poster di Dark Crystal e di Evil Dead, di là si nominano Lando Calrissian e il Maestro Yoda, di su si ascolta, a mo’ di refrain/reminder, un synth carpenteriano e si guarda La Cosa in VHS, di giù irrompe Alien in maniera quasi pretestuosa, mentre una parete diventa lo schermo organico di Videodrome. Ma sarebbe inutile – e noioso – continuare a enumerare le citazioni e i rimandi, che sono davvero onnipresenti, autoevidenti e coestensivi alla serie. E insomma dopo un po’, però, ti accorgi che, in questo tripudio eighties con pochissime divagazioni (Blow Up e Under the skin), la serie è sostanzialmente un remake di E.T. con Undici nella parte dell’alieno. Essere soprannaturale trovato dai bambini ma nascosto agli adulti, si rimpiatta nell’armadio, lo vestono “da donna”, i bambini scappano di qua e di là con le biciclettine e lui li aiuta grazie ai suoi poteri telecinetici mentre i cattivi del governo lo cercano per fare brutti esperimenti e sì, insomma, è tutto abbastanza chiaro. E’ E.T., quindi, ma ri-sceneggiato da Stephen King con generosissime dosi di IT e The Body / Stand By Me a fare da sfondo integratore. Ha un senso. Perché Stranger Things riproduce, è vero, quel film/cinema lì, in un tentativo di verificare se la formula può funzionare ancora, ma la risposta forse è impossibile da fornire. Bisognerebbe eliminare l’elemento nostalgia, che invece monopolizza e tiranneggia l’attenzione degli spettatori di riferimento che, arriviamo al punto, non sono i bambini. E.T. era un film (anche e soprattutto) per bambini, a differenza di Stephen King che parla spesso di infanzia e (perdita dell’)innocenza ma non è uno scrittore di narrativa per l’infanzia. E i Duffer Brothers, che pure sono dell’84, sembrano aver pensato Stranger Things proprio per il pubblico che all’epoca di E.T. era composto dai bambini, oggi quarantenni, che nel frattempo hanno letto Stephen King, ascoltato Moby (unica presenza “anacronistica” – benché extradiegetica – nella colonna sonora) e giocato a Silent Hill (la rappresentazione del Sottosopra). Stranger Things, pur nella sua leggerezza, rimane fondamentalmente un Horror che, specie nel finale, diverge dal suo modello spielberghiano in modo inequivocabile. Le atmosfere sono più dark, la morte è una presenza importante e ingombrante, che tocca anche personaggi chiave (Barbara, sosia della Stef dei Goonies), ma soprattutto, nel non epilogo, accadono cose che “in E.T.” non avrebbero trovato cittadinanza: l’adulto buono (Jim) tradisce la fiducia dei personaggi e del pubblico vendendo Undici ai cattivi, Nancy si rimette con Steve e non si fidanza con Jonathan, Will Byers torna dal Sottosopra ma inquina irrimediabilmente l’happy end mostrandosi mutato, probabile incubatrice Alien-a di larve mostruose e ancora vincolato al Mondo Oscuro. Anche perché, no, Stranger Things non è un lungo film degli anni 80 ma una prima stagione di una serie contemporanea, ottimisticamente proiettata in una ipotetica seconda. Che probabilmente, e fortunatamente, arriverà.