Musicale

STRADE DI FUOCO

Titolo OriginaleStreets of Fire
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1984
Genere
Durata90'

TRAMA

La rockstar Ellen Aim viene rapita durante un concerto da una banda di teppisti motorizzati, il suo fidanzato manager assolda un ex-militare per liberarla.

RECENSIONI

Favola metropolitana virata al western da spolverare e riscoprire questa girata da un maestro della contaminazione, Walter Hill, un genio impari, un angelo caduto nel dimenticatoio del firmamento cinematografico americano off  Hollywood (basti pensare alla mala sorte produttiva e distributiva del suo folgorante, Undisputed).
Hill procede a tempo di rock giocando non solo sulla fantasiosa ibridazione dei generi e costruisce un film dall’impianto narrativo semplice e efficace tentando di sfruttare creativamente la moda imperante del videoclip (la musica, iperbolica e d(’)annata, con Tom Petty e Ry Cooder in testa, è uno degli elementi determinanti della pellicola in grado di accompagnare narratologicamente lo spettatore attraverso l’intero racconto, dal rapimento della rockstar alla sua liberazione, dalla resa dei conti al congedo fordiano dell’eroe), innestando con trasognata improbabilità estetiche eighties tardo glam/new wave su plumbei scenari, squisitamente posticci, anni ’50 arrischiando incontri cine-mitografici tra il Benedek de Il selvaggio e il Carpenter di 1997 – Fuga da New York, tra l’Adrian Lyne di Flashdance e il suo straordinario precedente I guerrieri della notte.
Film basato esclusivamente sul ritmo (le descrizioni musicali già ricordate e un montaggio ipertroficamente spericolato) e sulle scenografie fotografate con consumato fascino da Andrew Lazlo,  e consegnato alla verve registica dello stesso Hill che cattura l’attenzione operando sull’immaginario (cinematografico) urbano, infinitamente più che sull’esilissima tessitura tramica e sull’agghiacciante corrività schematica della costruzione dei personaggi. Dafoe byker cattivo abbastanza convincente, Paré dimenticabile e giustamente dimenticato, Rick Moranis contenuto ma spassoso e una Diane Lane insopportabilmente bamboleggiante; peccato invece per il caratterista Lee Ving la cui maschera smaccatamente villain avrebbe meritato ben altra fortuna che qualche serial poco significativo, compresa un’avventurosa apparizione nella serie di culto Fame.