TRAMA
Charles Serking è un poeta underground abbastanza noto, alcolizzato e disperato, che ama frequentare barboni e dormitori pubblici. Conosce e s’innamora di una bellissima prostituta.
RECENSIONI
Ferreri s’ispira a cinque racconti di “Storie di ordinaria follia. Erezioni Eiaculazioni Esibizioni” (1972) del “maledetto” Charles Bukowski, s’immerge nella sua Los Angeles (città d’angeli caduti), nel suo universo di autodistruzione e derelitti, di masochismo e amori radicali, di alcol e sesso. Ben Gazzara è Charles, e il romanzo cinematografico vorrebbe (anche) diventare un’autobiografia dove lo scrittore si racconta e racconta il proprio rapporto con i modelli borghesi e il significato dell’Arte, in una continua dialettica fra male di vivere ed energico oblio nella carnalità, rappresentata (anche) da una bella Ornella Muti, prostituta schiava dell’amore come violenza (e vai di tagli sul collo e spille nella vagina). Come dire che solo il pericolo, l’eccesso affrontato con stile genera vera Arte, quella fittizia è retaggio degli ambienti sterili con tutti i comfort dove la società vorrebbe incanalare e programmare l’ispirazione (vedi l’allegorica sequenza a New York, dove Charles conosce un autore fuggito dalla Russia, tale…Alexander Konchalovsky). Lo sconforto è però insopprimibile, la vita è un continuo “morire nel sonno”: nulla di più appropriato, allora, del consueto sguardo sospeso, colorito, sonnambolico e crudelmente paradossale di Ferreri che, però, pecca di troppa vacuità, rischiando di ridurre l’opera a pittoreschi congressi carnali (la bionda sadomaso, l’obesa, la nana finta dodicenne) o a una matrice surreale poco foriera di allegorie, in quanto sottotono, dimessa. Ciò non gli impedisce di fare “suo” lo scrittore nel riproporre i segni distintivi della sua poetica: eccentricità e trasgressione a parte, ecco la solitudine dell’uomo, la misoginia, il passo agonizzante divertito, le ferite dell’anima, la profanazione dei simboli sacri (la Muti vestita da suora), i luoghi prediletti (spiagge, stanze dipinte con colori accesi), il finale da apologo (non ci sono né L’Ultima Donna, né l’amore salvifico: anche la poesia si prostituisce).