TRAMA
La storia di una comunità islandese tra uomini e cavalli.
RECENSIONI
Il bianco mantello di un cavallo riempie il quadro. In sottofondo il rumore della natura accompagna un susseguirsi di dettagli: le orecchie, la coda, fino a un occhio, in cui intravediamo il riflesso di un uomo.
Allarmonica organicità del corpo equino fa da controcampo il nostro mondo diviso nei recinti di tic e ossessioni, dove non vi è contatto ma la sola diffidenza e distanza nel goffo uso di strumenti ottici.
Tocca ai cavalli caricarsi sul dorso questa tragicommedia umana, diventarne il tessuto terapeutico per un istinto incapace a camminare con le proprie gambe. Nella ciclicità dellesistenza, dove vita e morte trottano una accanto allaltra, è grazie allo sguardo di un animale che reimpariamo a vederci come specie e ad accoppiarci, scremando le grottesche disfunzioni comportamentali e muovendoci liberi in un unico e grande recinto.
Hross ì oss, opera prima di Benedikt Erlingsson, è una tenera quanto straniante raccolta di episodi che ruotano attorno al rapporto tra un cavallo e il suo padrone. A fare da sfondo c’è la selvaggia Islanda relegata perlopiù a cornice da una regia che si focalizza sul legame di subordinazione tra uomo e animale, preferendo piani ravvicinati rispetto a quelli lunghi e alla profondità di campo. Un cinema il cui antropocentrismo surreale è il perenne movimento, fatto di traiettorie che spesso si confondono, che danno l’impressione di un nervoso e incontrollato errare, ma che in realtà sono i segmenti di un disegno corale verso una nuova collocazione dell’uomo all’interno del mondo circostante.
L’insistente ritmo interno all’inquadratura, con la macchina da presa in morbida oscillazione, asseconda il continuo trotterellare di queste anime alla ricerca di se stesse, ma sempre con una spinta di forte vitalità cui fanno da eco i motivi balcanici della colonna sonora.
