Drammatico, Recensione

STORIA DI UNA CAPINERA

TRAMA

1845, Sicilia: Maria, novizia, è costretta a tornare a casa per l’imperversare del colera. Qui conosce il bel Nino e se ne invaghisce, struggendosi fra amore terreno e divino.

RECENSIONI

La capinera di Verga (già portata al cinema da Streni nel ‘17 e Righelli nel ‘43) trasformata in un "uccello di rovo". Sono solo due i tocchi di regia degni di nota (la vita vista attraverso le sbarre; il finale in cui, per l’oblio eterno, si è ordinate suore su di un feretro), mentre la direzione delle recitazioni è largamente pessima: si va dalla maniera, teatraleggiante, al dilettantismo puro (Zeffirelli ha ingaggiato attori inglesi sconosciuti, ma non ha la più pallida idea di come tirarne fuori la freschezza senza strafare o le potenzialità senza renderli convenzionali). C’è da stendere un velo pietoso sul disegno grossolano dei personaggi, in assenza di approcci psico-socio-culturali che non sono figli di una neutralità "verista", bensì di un cinema rozzo che si stima distinto ed autorale in virtù della cura nelle scenografie (ispirate ai dipinti di Lega) e nelle ambientazioni, oppure “illuminato” solo perché riproduce i classici della letteratura con una scrittura popolar-romanzesca dove, controcorrente, magnifica i sentimenti "puri" e "casti". L’impronta "strappalacrime telenovelistica” zeffirelliana la conosciamo molto bene, ma è anche vero che, dall'ex-scenografo di Visconti che torna ad "Aci Trezza" con Verga e La Terra Trema, ci aspettavamo qualcosa di più. A quanto pare dal Maestro ha appreso solo la sontuosità esteriore e l'amore per il teatro. La "Capinera" rientra, in modo del tutto trascurabile ed indistinto, nella sua galleria di amanti da Amore senza Fine: fra melassa, moralismi e verginità, questi giovani si struggono fra amore terreno e ultraterreno, in atteggiamento “religioso” dinanzi ad ardori inammissibili.