Drammatico, Mélo, Recensione

STORIA DI MARIE E JULIEN

TRAMA

Il quarantenne Julien decide di ricattare Madame X, una ricca signora che traffica con oggetti d’antiquariato. Quello che l’uomo non sa è che la donna è legata da un pericoloso segreto a Marie, ragazza della quale Julien si era innamorato un anno prima e che ora è tornata nella sua vita.

RECENSIONI

L'ultimo film di Jacques Rivette, nome di punta della "Nouvelle Vague", sembra purtroppo lo stereotipo del film francese intellettualoide: personaggi che si rincorrono senza un perché, un "amour" che non può che essere noiosamente "fou", dialoghi monosillabici in cui le frasi più ricorrenti sono "Non so!", "Può essere!", domande a cui i personaggi rispondono con altre domande, bruttissime sequenze di sesso di forzata falsità e su tutto una patina di gelo a contenere il più possibile l'emotività (non sia mai abbandonarsi alle vili emozioni!). Si racconta del legame affettivo tra Julien, orologiaio dai loschi traffici, e Marie, misteriosa donna dall'indefinito passato. I due si prendono e si lasciano in un rapporto passionale ma irto di difficoltà, in cui si inserisce l'altrettanto misteriosa Madame X. L'aspetto più interessante è la soggettività con cui il tempo viene rappresentato: immobile all'interno della grande casa del protagonista, che ripara orologi ma non ne ha uno funzionante, e totalmente slegato da una scansione razionale nei continui andirivieni a cui si abbandonano i personaggi. I due protagonisti godono di una forte presenza scenica: il polacco Jerzy Radziwilowicz (già "Uomo di Marmo" e poi "di Ferro" per Wajda) ha grande carisma; la bellissima Emmanuelle Beart (perché quelle labbra rifatte a ridicolizzare l'armonia di un viso perfetto?) si butta con slancio nel non facile personaggio di Marie, ma esagera nell'enfasi con cui sembra voler trasformare ogni sequenza in scena madre. Estremizzando i confronti, il film può essere considerato una risposta d'Oltralpe a "Il sesto senso". "Vedo la gente morta" diceva il piccolo Haley Joel Osment e la stessa cosa potrebbe essere ripetuta dal cast del film mal interpretando, dallo schermo, gli occhi a mezz'asta del pubblico.

I mille orologi nella grande casa cupa e quasi sempre in penombra scandiscono le ore di un tempo immobile, sospeso nella zona di passaggio fra la vita e il sogno, l’affetto e il rimpianto, l’amore feroce e la (dis)umana indifferenza: un atto insignificante sarà causa della metamorfosi (forse) definitiva. La (para)psicologia è per Rivette un mero pretesto narrativo per l’esplorazione spoglia, acuminata, malinconica di una passione avvelenata e sfuggente, cuore di un film tanto ingannevolmente piano nella struttura (l’avvolgente teoria di piani sequenza in cui persone e oggetti sembrano galleggiare) quanto spiazzante nella millimetrica fusione di orrore, tenerezza e humour, in cui gli spettri di Poe (il gatto Nevermore, allusione a doppio taglio a Il Corvo), Cocteau (gli echi del mito di Orfeo, il miracolo conclusivo), Truffaut (LA CHAMBRE VERTE di Marie) si muovono a loro agio assecondando il gusto meticoloso e teatrale del regista, che – dopo CHI LO SA? – realizza un’altra opera affascinante (con qualche scusabile ridondanza) sull’invincibile forza della rappresentazione [le simulazioni inesplicabili (la falsificazione dei tessuti), i ri(s)catti supremi, l’erotismo fiabesco dei protagonisti, i gesti stilizzati e le parole spezzate con cui Marie e Adrienne compiono le rispettive magie]. Emmanuelle Béart è fulgida come non mai.

Per inceppare l’ingranaggio del Tempo e tuffarsi in una dimensione sospesa non occorrono fronzoli e/o metafore ardite: semplicemente le mani di Julien che toccano i grandi orologi, tutto quell’armeggiare provoca una paralisi cronologica e, di conseguenza, genera la necessità di dominare anche il Tempo della Vita. Le due ramificazioni tramiche che passeggiano parallele, lentamente, si rivelano mai così complementari eppure opposte: Madame X nel rogo della lettera regalerà al suo fantasma la classica liberazione, svelando un meccanicismo che non permette di sperare né insistere, ché le cose non possono andare diversamente. Ma l’uomo degli orologi non perderà la sfida contro il Tempo: egli non si rassegna, prospetta il suicidio come provocazione contro l’odiato nemico, sembra perduto nell’avverarsi di un sogno premonitore (un coltello nell’aria la cui destinazione si smarrisce nel risveglio) per poi abbracciare l’Incredibile all’ultimo minuto. Madame X ed il tempivendolo come Pessimismo contro Ottimismo? L’aleggiare della tragedia è tanto significativo proprio perché non si compie –niente pianto necessario- ma d’altronde si è già compiuta, la storia inizia ostinatamente dopo la morte per dimostrare che sì, davvero si può vincere il Tempo. Jacques Rivette ne è la dimostrazione pulsante: sfidando sul proprio terreno la tendenza degli ultimi anni (fantasmi & apparizioni) questi la piega in chiave autoriale (si intenda dunque: sconfinata eleganza narrativa, senso della messinscena come pochi, squisito gusto della suggestione, occhio maniacale per dettagli ambienti e costumi) senza curarsi di nulla e di nessuno, fa ciò che vuole quando vuole e, soprattutto, in quanto tempo vuole. Lungamente atteso, annunciato e più volte rimandato nel nostro Paese, quindi il primo vero ruggito della stagione 2004-2005: un film per raccontare non il soprannaturale o l’amore folle ma lo sguardo che rimane fisso nel fluido divenire sfidando ogni legge della ragione – prima la cinepresa che circumnaviga i protagonisti, poi il livido splendore dell’ultima sequenza (due volte ripetuta) chiariscono ormai che sono loro, i fantasmi, che ci stanno osservando.