Carcerario, Drammatico, Recensione

STALAG 17

TRAMA

In un campo nazista di prigionia, alcuni sottoufficiali dell’aviazione statunitense sospettano che, fra loro, si annidi una spia dei tedeschi. Hanno un principale indiziato.

RECENSIONI

Almeno fino al 1953, anno in cui quest’opera fu da più parti criticata per aver osato immettere la risata beffarda in un contesto che richiedeva la sola riprovazione e condanna, Billy Wilder amava la ferocia grottesca nei posti (generi) più impensabili o scomodi. Chi più di lui, ebreo fuggito da Berlino, sapeva di che cosa erano capaci gli uomini di Hitler? Fatto sta che deciderà di dedicarsi alla sola commedia, ma non smetterà di bacchettare il finto perbenismo, l’ipocrisia di facciata dei moralisti che s’appellano alla seriosità. E Stalag 17 è un’opera drammatica: la beffa non fa che esaltare, con cinismo, i risvolti più paradossali dell’essere umano, esula anche dal contesto storico, dalla contingenza di “quella” situazione, per analizzare quanto Male hanno portato nel Mondo (compreso quello con l’ideologia nazista) i pregiudizi. Fa di più: appiccicando alle vittime (i prigionieri alleati, quelli “buoni”) gli stessi difetti della controparte aguzzina, evita di rimuovere nella demonizzazione il fenomeno delle fedi fasciste per comprendere il funzionamento di certi meccanismi psicologici/opportunistici nell’uomo tout-court.