Supereroi

SPIDER-MAN: HOMECOMING

TRAMA

Dopo avere conosciuto Tony Stark e approcciato gli Avengers, l’adolescente Peter Parker è ossessionato dall’idea di entrare nel gruppo. Il super-costume da Uomo Ragno ricevuto in dono da Stark lo galvanizza al punto da fargli mettere in secondo piano i palpiti del cuore e l’amicizia con il buffo Ned. Anche perché un nuovo nemico, non così distante, si profila all’orizzonte e l’occasione potrebbe rappresentare la prova decisiva per mettersi in luce e coronare il proprio sogno.

RECENSIONI

Dopo la trilogia di Sam Raimi e i due film di Marc Webb perché un altro reboot sul celeberrimo Uomo Ragno? Non è tanto il presunto scarso gradimento dell’ultimo capitolo del 2014 che ha reso necessario un nuovo inizio invece di un terzo sequel, quanto una ragione di coerenza che sottintende però questioni economiche e legali molto delicate. Il fine ultimo è sempre incassare milioni di dollari e per farlo un’ottima opportunità era quella di fare entrare Spider-Man nel “Marvel Cinematic Universe”, il media franchise i cui protagonisti, tutti supereroi Marvel, interagiscono tra loro e condividono situazioni e momenti attraverso film diversi. Impossibile farlo partendo da due saghe completamente estranee a tale universo. Per arrivare al nuovo film, però, era necessario stabilire un accordo tra due colossi, perché Spider-Man è un personaggio dei fumetti Marvel Comics i cui diritti cinematografici sono però in mano alla Sony. Dopo anni di trattative si è stabilita una suddivisione delle spettanze: alla Sony copyright e diritti di distribuzione, alla Marvel il controllo creativo del personaggio. Si è quindi concretizzato il progetto attraverso l’introduzione di Spider-Man in Captain America: Civil War, in piena “fase 3” nella costruzione del “Marvel Cinematic Universe”, mentre il passo successivo è stato dedicare interamente al personaggio un nuovo film. Un reboot del reboot in grado di ridisegnare l’immaginario annesso all’Uomo Ragno legandolo indissolubilmente ad Iron Man e prospettandogli l’entrata nel gruppo, già nutrito ma ancora capiente, degli Avengers. Una pianificazione calcolatissima che non inficia però la fruizione anche per chi, privo di informazioni e conoscenze pregresse, vuole solamente godere del singolo spettacolo, in linea quindi con gli altri film gravitanti nello stesso universo, opere a sé stanti ma anche tessere di un puzzle più grande.

Chiarite le premesse resta il film, che gioca sull’ambivalenza del sottotitolo homecoming, festa tradizionale americana di bentornato per gli ex-studenti, per rimarcare il ritorno del personaggio alla Marvel e al suo universo cinematico. L’ennesimo lungometraggio su uno dei supereroi più amati e sviscerati lasciava aperte due possibilità: ricominciare tutto da capo oppure dare le origini, ormai ampiamente note, per scontate. Ed è proprio sulla differenziazione rispetto al passato che il team di sceneggiatori (ben sei) ha deciso di lavorare: un protagonista quindicenne (il simpatico Tom Holland, in realtà ventunenne), una zia splendida MILF (Marisa Tomei), uno zio già uscito di scena, un villain inedito e non a senso unico (il problematico Avvoltoio di Michael Keaton, quasi un alter ego di Birdman), l’abbandono dell’aggettivo “dark” e la destinazione al remunerativo multi-target “adolescenti e famiglie”. La virata snellisce non poco il risultato, grazie anche a una linearità che, pur abbandonando ogni ipotesi di retrogusto, si fa apprezzare per come procede all’insegna della semplificazione, senza quelle complicanze di cui i Cinecomics spesso inutilmente abbondano. Poi, non mancano cliché (impacci, timidezze e nerditudini assortite), coincidenze perniciose (quel “ti presento i miei” per dare mordente al conflitto), lunghe sequenze di azione (non sempre leggibili in modo fluido), gli sganassoni finali (ma perché?), una computer grafica non così invisibile, un 3D aggiunto in post produzione ed esornativo e due (inutili) sequenze aggiuntive dopo i titoli di coda. L’insieme, però, scorre piacevole, raggiungendo un non così scontato equilibrio. Inevitabile aleggia un senso di gratuità, ma il compito affidato a Jon Watts (da rivalutare il poco distribuito Clown) non era certo dei più semplici.