Dopo anni di inutile distinzione, avente come conseguenza la ghettizzazione del cortometraggi in una sezione collaterale dall’orribile titolo (Corto cortissimo) e regolarmente ignorata a causa della sua collocazione (gli ultimi giorni del festival), la 67° Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia ha infine fatto il grande passo, incorporando tutto il cinema non rispondente alle logiche tradizionali e al mercato (vincoli di durata, forma fiction) nella sezione Orizzonti. Una bella intuizione, che pone il Festival in una posizione di vantaggio rispetto a Cannes, almeno per quanto concerne il riconoscimento e la visibilità di nuovi linguaggi e delle più audaci sperimentazioni.
Non si può nulla al vento(Flatform, Italia, 6’) / Da anni interessati alle dinamiche spazio-temporali e alla decomposizione di paesaggi naturali, il gruppo Flatform gioca su una doppia asse di stasi e movimento: movimento della macchina da presa (carrellata), paesaggio “fisso”, macchina fissa, paesaggio “in movimento” su più livelli (elementi in primo piano o sullo sfondo). Così facendo, lo schermo diventa il luogo di un’illusione cinetica non più mimetica ma poietica (la “veduta” come insieme eterogeneo di orizzonti da fondere e “corporale”. (8)
Nok ka mhin (Four Seasons) (Chaisiri Jiwaeangsan, Tailandia, 11’) / Una donna in riva al fiume, un mango, una canzone che accompagna la sua corsa in bicicletta, la notte che impone una sosta: le quattro “stagioni” della giornata di una migrante filmate da uno dei più fedeli collaboratori di Apichatpong Weerasethakul. Notevole. (8)
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_x000D_Coming Attractions (Peter Tscherkassky, Austria, 25’) / Da uno dei maggiori rappresentanti del found footage, un sublime lavoro di re-visione di oggetti filmici in cui l’autore di Instructions for a Light and Sound Machine ripercorre la storia del cinema nelle sue principali (e seminali) formulazioni sintagmatiche: narrative (effetto Kulešov) antinarrative (il Ballet Méquanique di Léger) o paranarrative (la pubblicità). (9)
The Leopard(Isaac Julien, Gran Bretagna/Italia, 20’) / Coreografato da Russell Maliphant, continuazione di una serie di installazioni attorno alle tematiche legate alle migrazioni di popoli (tra le quali la splendida Paradise Omeros al Centre Pompidou), il film di Julien è un poema visivo di rara bellezza formale, in cui il “sociale” viene riconfigurato e “mitizzato” grazie ad una commistione seducente di moderno e antico, di realismo e astrazione. (8,5)
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_x000D_Better Life (Isaac Julien, Gran Bretagna/Cina, 55’) / Partendo da un fatto di cronaca, tragico esempio di viaggi rischiosi intrapresi per una vita migliore (la morte di 23 raccoglitori cinesi di frutti di mare, lavoratori in nero), Julien riprende il dispositivo narrativo e formale di The Leopard intrecciando reportage, scene di vita quotidiana (la Shangai odierna, ma anche la Shangai anni ’20 ricostruita negli studi cinematografici della città) e fiction, a partire da una favola cinese del XV secolo, Il racconto dell’isola di Yishan. Così, l’opera diventa una grande, transtorica e transmediale “storia di fantasmi cinesi”, con la quale il regista chiude il suo personale viaggio in Cina avvalendosi degli splendidi versi del poeta Wang Ping, delle magnifiche “calligrafie a vista” di Gong Fagen (che aprono e chiudono il film) e della grazia e leggiadria di Maggie Cheung. (8)
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_x000D_El Pozo (Guillermo Arriaga, Messico, 8’) / Arriaga ci narra di un evento collaterale simbolico (un orfanello caduto in un pozzo, un anziano contadino esitante sul da farsi) per parlarci indirettamente della rivoluzione messicana del 1910. Così ci avverte il Press Book del film. Purtroppo è praticamente impossibile reperire questi elementi narrativi preziosi nel testo filmico, che a noi pare “soltanto” la pagina ingiallita, corretta e nulla più, di un Western degli anni ’70. (6)
The Future will not be Capitalist (Sasha Parker, Austria, 19’) / Il titolo del documentario di Sasha Parker cristallizza lo spirito dell’impresa architettonica di Oscar Niemeyer, autore della sede del Partito comunista francese, a Parigi, Place du Colonel Fabien. Un’interessante esplorazione degli splendidi interni, oramai occupati a metà, accompagnata dal nostalgico ritratto di alcuni ostinati “sopravvissuti”. (7)
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_x000D_The Futurist (Emily Richardson, Gran Bretagna, 4’) / Panoramica di 360º all’interno di una sala cinematografica prima, durante, e dopo una fugace proiezione (che non vedremo). Nihil novi sub schermo. (5)
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_x000D_Haru no shikumi (The Mechanism of Spring) (Atsushi Wada, Giappone, 4’) / Frequentatore riconosciuto dei più importanti festival internazionali di cinema d’animazione, Wada disvela la sua personalissima visione del risveglio primaverile stilizzando alcune figure umane e animalesche che appaiono, scompaiono e si metamorfosano al ritmo di un sogno composto di una serie di spiazzanti Haiku. (8).
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_x000D_Il Capo (Yuri Ancarani, Italia, 15’) / Ancarani filma alcuni minatori delle cave di marmo di Carrara e compone una singolare sinfonia visiva e sonora in cui uomo e macchina (gru, ruspe) ridisegnano la configurazione del paesaggio sotto i nostri occhi. Potente. (8)
Casus Belli (Yorgos Zois, Grecia, 11’) / L’effetto domino della crisi economica greca suggerito dilatando un’ideuzza visivamente efficace: la macchina da presa che attraversa diversi spazi simulando una continuità di movimento, un carrello che ripercorre, a ritroso, il tragitto appena effettuato travolgendo tutto e tutti (ovvero, la società…). Metafora scoperta per un esercizio di stile quasi irritante. (5)
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_x000D_Les Barbares (Jean Gabriel Périot, Francia, 5’) / Una serie di immagini fotografiche trovate in rete e rielaborate al fine di costruire un apologo un poco facile e scontato sul Potere e la manipolazione mediatica. (6)
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_x000D_Atom (Markus Loffler, Andrée Korpys, Germania, 31’) / Ecologia e sorveglianza, azione e reazione, visibilità della protesta e invisibilità dell’oggetto della protesta (le particelle di scorie nucleari): i trionfatori dell’ultimo festival internazionale di cortometraggi di Oberhausen aggrovigliano in una complessa rete di saperi fisici (il Tao della fisica di Capra) le evidenze di uno scontro tra ecologisti e forze dell’ordine. Agghiacciante. (8)
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_x000D_Man in the Room (Rafael Palacio Illingworth, USA, 6’) / Adattamento per lo schermo di un fumetto dell’artista scozzese David Shirgley, il quarto cortometraggio di Rafael Palacio Illingworth è l’illustrazione, un poco ovvia nella messa in scena, di un incubo domestico vagamente kafkiano. (6)
Mouse Palace (Harald Hund, Paul Horn, Austria, 10’) / Un universo domestico e familiare su scala ridotta divorato da voraci topolini, cavie da laboratorio le cui dinamiche di coppia e di gruppo mettono in luce gli orrori e i piccoli deliri del nostro quotidiano quieto vivere. Tecnicamente sorprendente. (7)
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_x000D_Slabyj Rot Front (Weak Rot Front) (Victor Alimpiev, Russia, 11’) / Una performance corporale, un dialogo di sospiri e respiri che nulla aggiunge ai lavori teatrali, ben più interessanti, di Victor Alimpiev. (6)
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_x000D_En el Futuro (Mauro Andrizzi, Argentina, 52’) / Di un intellettualismo insopportabile, un collage di testimonianze erotiche che dovrebbero render conto della vita sessuale del popolo argentino. Pretenzioso e inutilmente estetizzante. (5)
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_x000D_21 ke (21 g) (Xun Sun, Cina, 29’) / Tediosa allegoria politica satura di immagini simboliche e debitrice di un immaginario occidentale stantio. (5)
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_x000D_Shadow Cuts (Martin Arnold, Austria, 5’) / La pratica del found footage come esercizio di svelamento del represso e dell’implicito hollywoodiano. Qui, ritroviamo Pluto e Topolino finalmente a letto assieme… (8)
Stardust (Nicolas Provost, Belgio, 20’) / Secondo episodio di una trilogia in cui il regista belga utilizza il medesimo dispositivo (rubare frammenti di reale con una telecamera nascosta per poi narrativizzarli secondo i codici del cinema tradizionale), Stardust è un “racconto” avvincente che porta alle estreme conseguenze il principio dell’effetto Kulešov. (8)
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_x000D_Fading (Olivier Zabat, Francia, 59’) / Olivier Zabat sfrutta l’immagine pixelizzata del videofonino (metamorfosi tecnologica) e le oscurità dei bassifondi (metamorfosi topografica) per dissolvere e fluidificare identità in movimento. La tecnica al servizio della poetica. (8)
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_x000D_House (Doug Aitken, USA, 9’) / Il decadimento della vecchiaia “doppiato” dal crollo di una casa. La metafora è scoperta, ma interessa meno delle suggestioni plastiche e formali scaturite dalla messa in quadro della demolizione. (7)
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_x000D_720 Degrees (Ishtiaque Zico, Bangladesh, 5’) / Su una spiaggia, la macchina da presa gira sul proprio asse mostrando (con effetto iris, il cerchio nel quadro su movimento circolare…) vari eventi e figure in preda al panico. Tecnicamente ed esteticamente privo di interesse. (4)
Indefatigable (Semiconductor, Ecuador/Gran Bretagna, 7’) / Captando il lavoro di alcuni ricercatori, che sezionano l’arbusto di una pianta, questo apparente film “scientifico” avvolge in realtà i gesti e le tecniche esibite in un’atmosfera eterea e impalpabile. L’oggetto di analisi sembra così sfuggire alla presa (7)
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_x000D_Miten marjoja poimitaan (How to Pick Barries) (Elina Tolvensaari, Finlandia, 19’) / L’epifania dell’estraneo nella banalità di un gesto (la raccolta delle bacche) che supera le barriere di una difficile comunicazione verbale. Sorprendente. (8,5)
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_x000D_O mundo é belo (Luiz Pretti, Brasile, 9’) / Quasi un film di famiglia, troppo ombelicale per aspirare all’universalità (amore, caducità della vita) e troppo ambizioso per essere accettato come semplice e divertita masturbazione intellettuale. (6)
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_x000D_Voodushevlenie (Inspiration) (Galina Myznikova, Sergey Provorov, Russia, 46’) / Tra la Land Art e certo Tarkovsky, la coppia di videoartisti russi Myznikova/ Provorov continuano la loro peregrinazione performativa dello spazio naturale, calando nel paesaggio, come già nel precedente Despair, figure umane quasi spettrali e mortifere che “macchiano” gli ambienti trasformando il quadro in una sorta di specchio della mente di chi guarda. (9)
Diane Wellington (Arnaud des Pallières, Francia, 17’) / Dall’autore di Parc, un esempio di found footage in cui le didascalie risemantizzano immagini di repertorio “neutre” e ci raccontano della misteriosa scomparsa della giovane Diane Wellington. Nulla di originale, in verità, ma non privo di fascino. (7)
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_x000D_Woman I (Nuntanat Duangtisarn, Tailandia, 20’) / Ovvero Io, Nuntanat Duangtisarn, classe 1982, e le donne… Ingenuo e narcisistico saggio di diploma inspiegabilmente sottratto alle buie stanze degli archivi del King Mongkut’s Institut of Technology Lardkrabang di Bangkok, scuola dalla quale proviene Nuntanat. (4)
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_x000D_Chi di (Red Earth) (Clara Law, Cina-Hong Kong, Australia, 21’) / Racconto di fantascienza insopportabilmente moraleggiante (un Chris Marker volgarizzato e annacquato), visivamente stucchevole (flou, rallenti) e parapubblicitario: una collezione di fotografie stile Vogue vendute come oggetto sperimentale e Arty. Orrido. (4)
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_x000D_Lif og daudi Herny Darger (The Life and Death of Herny Darger) (Bertrand Mandico, Francia/Islanda, 6’) / Il complesso e brutale (Ti restano due ore di vita) racconto degli ultimi istanti di vita dell’artista “brut” Herny Darger. Criptico, ostico, bellissimo. (8)
The External World (David OReilly, Germania, 15’) / Irresistibile sequela di situazioni deliranti e assurde realizzata dal geniale autore di cinema digitale David OReilly, già vincitore dell’Orso d’oro per il cortometraggio alla Berlinale del 2009 (Please Say Something). Una cosmogonia in cui uomini, animali e mostri convivono e si metamorfosano. Una sorta di South Park più estremo e consapevole. (8)
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_x000D_Future Archaeology (3D) (Armin Linke, Francesco Mattuzzi, Italia/Germania, 20’) / Corretta lezione di archeologia del paesaggio in cui tuttavia il 3D non aggiunge niente al valore didattico ed esplicativo delle immagini. (6)
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_x000D_Brillanty (Diamonds) (Rustam Khamdanov, Russia, 26’) / Prossimo all’immaginario di un Guy Maddin, il cortometraggio di Khamdanov è un ammaliante esercizio di stile, visivamente sovraccarico e un po’ vacuo nell’insieme. Luccicante e “inutile” (cosa, questa, non necessariamente negativa), proprio come l’oggetto diegeticamente dominante del titolo. (7)
The Agent (Vincent Gallo, USA, 13’) / Un frammento del lungo Promises Written in Water.In un piano sequenza, il monologo potenzialmente infinito di Sage Stallone, agente del qui incredibilmente invisibile Vincent Gallo. Da segnalare la didascalia finale di presentazione del Manifesto galliano, che non merita di essere preso sul serio, per un cinema indipendente “opera di registi eterosessuali, di bell’aspetto e non ebrei”… (6)
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_x000D_k.364 a journey by train (Gordon Douglas, Gran Bretagna, 67’) / Il celebre artista e videasta, autore della dilatazione temporale dell’hitchcockiano Psycho, realizza qui il ritratto di una coppia di violinisti di origine ebrea-polacca, alle prese con l’esecuzione della “Sinfonia concertante k.364 di Mozart. Tra memoria familiare, visioni fuggitive di un tragico passato (l’attraversamento in treno dei luoghi della deportazione) e purezza musicale. (8)