TRAMA
Il batterista Ruben forma con la fidanzata Lou il duo Blackgammon: i due vivono insieme e sono sempre in viaggio per le strade d’America, in tour da un club all’altro. Ex tossicodipendente pulito da quattro anni, Ruben si accorge di percepire uno strano ronzio nelle orecchie e in poco tempo diventa quasi completamente sordo. Sopraffatto da ansia e depressione, si rifugia in una casa per sordomuti gestita da un veterano del Vietnam anch’egli sordo. Grazie al lavoro con altre persone nella sua situazione Ruben arriva ad accettare la sordità, anche se non perde la speranza di tornare a sentire grazie a un impianto artificiale e così riunirsi con Lou.
RECENSIONI
La caffettiera che gocciola, il frullatore che gracchia, l'affanno durante le flessioni mattutine. Fin dalle sue prime battute, Sound of Metal si impone come film tutto incentrato sulla percezione sonora e sensoriale. È un passo fondamentale per la comprensione dell'opera, per concentrarsi non tanto sul cosa avviene davanti ai nostri occhi quanto sul come. Da un'ottica puramente narrativa, l'opera prima di Darius Marder segue in modo piuttosto convenzionale i passaggi obbligati della pellicola drammatica con tinte melò, da una situazione di armonia all'elemento destabilizzante, dalla nuova scoperta di sé attraverso svariate peripezie al ristabilimento conclusivo dell'equilibrio (non necessariamente identico a quello iniziale). Lo schema fiabesco dell'antropologo e linguista Propp, in sintesi, viene rispettato con diligenza e fedeltà. Con annessa e scontata prevedibilità: è abbastanza facile intuire le mosse del protagonista Ruben, nel momento in cui scopre – forse a causa di una malattia autoimmune o per il suo lavoro – di aver perso circa l'80% del proprio udito in modo irrecuperabile. Esattamente come Blue Valentine (2010) e Come un tuono (2012), sceneggiati al pari di Sound of Metal da Derek Cianfrance, a incidere è la struttura immersiva e il modo in cui la vicenda allarga le proprie maglie avvolgendoci in una deriva emotiva. Visto così, il lavoro si fa impressionante e stratificato: si parla di fragilità dell'esistenza quotidiana, della crisi causata dalla paura e della negazione come fisiologica reazione all'evidenza. C'è, apparentemente in primissimo piano, una storia d'amore simbiotica; perché Ruben ha superato la tossicodipendenza grazie a Lou e Lou s'è scrollata di dosso la depressione cronica grazie a Ruben. I due suonano assieme, vivono in un motorhome e rifiutano le convenzioni della società. Fino allo strappo, che costringe soprattutto lui a riconfigurare le sue priorità.
I film su eventi che cambiano la vita spesso giocano al ribasso, gonfiando a dismisura gli elementi melodrammatici per tirare le corde del cuore. Qui accade qualcosa di diverso: con lo scorrere dei minuti Sound of Metal si fa sempre più asciutto e verosimile, non solo permettendo il silenzio (anti-narrativo, anti-cinematografico, anomalo e di conseguenza respingente) ma prosperando al suo interno. Marder, invece di raccontare la percezione della sordità, ce la fa direttamente vivere, ingabbiandoci nello stato uditivo di Ruben – fatto di suoni ovattati e conversazioni incomprensibili – e concedendoci una via di fuga solo quando lo sguardo sul mondo non coincide più col suo. Apprendiamo così quanto il silenzio per lui sia dolore e privazione, in quanto eliminazione alla radice dell'unica fonte di benessere e della salvifica ragion d'essere. La meta prefissata – quella che ci distrae dalle nostre umanissime e spaventose tenebre – è smarrita, le certezze crollano e la frustrazione prende il sopravvento. La soluzione è da cercare nella testa, non certo nelle orecchie; un'idea che il veterano del Vietnam Joe, a capo della casa per sordomuti in cui Ruben si rifugia, cercherà ostinatamente di far germogliare nell'anima inquieta del ragazzo. In un'annata produttivamente complessa come questa, difficile che Sound of Metal non diventi uno dei jolly dei prossimi Oscar, tra le appassionate interpretazioni di Riz Ahmed (in ascesa dopo la serie tv The Night Of – Cos'è successo quella notte?, 2016) e Paul Raci (attore figlio di genitori sordi al primo ruolo importante della carriera, già premiato ai Chicago Film Critics Association Awards), lo sperimentale sound design e la colonna sonora curata da Nicolas Becker e Abraham Marder. L'Academy, in verità, non dovrebbe far altro che assecondare il messaggio stesso del film, accettando finalmente e con serenità (dopo lustri di ostruzionismo nei confronti delle piattaforme online e di certo cinema indipendente) l'inevitabilità del cambiamento.