
TRAMA
Un grazioso topolino bianco sconvolge gli equilibri di una famiglia alto-borghese.
RECENSIONI
«Nello spirito, questi film [i primi cortometraggi, n.d.R.] assomigliavano già un po' a Sitcom. In uno [Une photo de famille] ammazzavo persino i miei genitori! Hanno accettato di fare la parte dei morti dicendomi: 'È un'ottima terapia. Così non sarai obbligato a farla nella realtà!'».
Il Teorema del giovane Ozon: la famiglia è un aggregato di figure prematuramente spente e rabbiosamente ripiegate su se stesse, ma basta un intervento dall'esterno (per quanto, in apparenza, insignificante) e le carte si rimescolano, le ombre si intrecciano, le ossessioni e le fobie più inconfessabili (non per questo impresentabili) toccano la superficie, trasformando un pantano discretamente fascinoso in una torbida swimming pool nella quale i conflitti più sanguinari assumono una rosata sfumatura terapeutica. E la risoluzione dei complessi prevede una catarsi al fiele. Di solito letto (e deriso) come un esercizio grottesco borioso e incontrollato, Sitcom è, come indica il titolo, una commedia di situazioni (tragiche, in senso attico) che gioca spensieratamente (e senza pietà) con stereotipi e tabù di origine teatrale/cine/televisiva (dalla domestica esotica alla paralitica sadomaso) e non ha paura di schizzare i suoi Parenti terribili (il sipario rosso, i tre colpi sulle tavole di un invisibile palcoscenico) servendosi delle armi di un racconto filosofico denso di sfondi onirici e scatti surrealisti, oltre la porta (soc)chiusa del gore più soffocante. Tetra e luminosa Marina De Van (interprete di Regarde la mer e futura cosceneggiatrice di Sotto la sabbia e 8 donne e un mistero).
