TRAMA
I Sigur Ros tornano a suonare nel loro Paese natale, l’Islanda.
RECENSIONI
Alieni sulla Terra
Heima è patria. La straordinaria band scandinava, a margine del successo internazionale, nel 2006 torna tra i ghiacci per una serie di concerti gratuiti; li segue Dan Deblois, già autore di loro videoclip e coautore/sceneggiatore di Lilo & Stitch, per immortalare luoghi, volti, esibizioni. Il film è una perla appagante e commovente. Lo diciamo subito: il giovane regista non ha intenzione di fare mera illustrazione del tour, il suo lavoro è quanto più lontano dal rockumentary perchè corteggia amorevolmente l’occhio, punta sulla costruzione esteriore e modella con pazienza una lunga catena di quadri visivi. E c’è anche un’altra ragione: la cinepresa, puntata a rotazione sui volti dei timidi Sigur Ros, raccoglie non formalità divistiche, affermazioni arty o altre velleità, ma giudizi arbitrari, vaghe impressioni e dichiarazioni inessenziali. Culminanti nel finale: chiusura in crescendo dell’ultimo show nordico e, come sua antitesi, dissertazione stupendamente fuori luogo sulla nonna di un membro della band. Heima è così, ma risulta difficile restituirne interamente le impressioni: diviso in capitoli corrispondenti alle città del tour, bagnato da panteismo con avvolgenti risvolti mistici, si apre con una fase di pura contemplazione che lascia emergere un intento quasi decorativo; una stella peculiare e delicata che guarda alla Natura, trafitta dalla luce e divorata dal colore. Spazi piani e spazi profondi, ambienti gelidi e calori umani, riempimenti intensi e improvvise trasparenze. Osserviamo strati porosi e superfici levigate, lievi ruscelli e cascate impetuose, corsi d’acqua indagati, riavvolti e proposti all’incontrario. Siamo alla libera associazione tra immagini e parole; dopo la prima parte, su cui aleggia l’artista faro Godfrey Reggio, i volti dei protagonisti si insinuano delicatamente nell’ordito, senza catturare l’attenzione ma moltiplicando anzi i punti di prospettiva. Un uomo seleziona e raccoglie pietre per creare uno xilofono, una folla si raggruppa per protestare contro l’innesto di una diga. Il paesaggio islandese, un rabbrividente sfondo incontaminato, è appena corrotto dalle intelaiature ferrose dei palchi e dagli strumenti degli artisti; figurativamente questi sono extraterrestri, che sbarcano su un nuovo pianeta tra suoni e rumori per donargli meraviglia; ma anche e soprattutto, in sostanza, contro la spersonalizzazione feroce nella macchina dello spettacolo, i Sigur Ros sono stranieri che tornano a casa. Poche volte musica & cinema si sono abbracciati con tale voluttà espressiva e hanno raggiunto un’unione tanto ipnotica, che ripudia ogni compromesso e chiede solo di essere goduta al riparo da pregiudizi di sorta: l’originalità vive nella fusione dei mezzi. Il momento più alto del festival sono questi 97 minuti di grande visione che si inchiodano nella memoria.