Erotico, Recensione

SHOWGIRLS

Titolo OriginaleShowgirls
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1995
Genere
Durata95’

TRAMA

Una bella ragazza cerca fortuna a Las Vegas: fattasi notare con gli strip, viene assunta in un “club” erotico di lusso.

RECENSIONI

Dai e dai, Paul Verhoeven (con final cut) riesce ad importare il suo cinema olandese “di squallore" a Hollywood. Trovato un complice in un "pappone" locale come lo sceneggiatore Joe Eszterhas (con cui aveva ideato Basic Instinct), sciorina le sue ipocrite perversioni sessuali al popolo statunitense, che non gradisce (un flop) e non s'accontenta dei formidabili colpi d'anca di Elizabeth Berkeley durante il coito: grande cavallerizza ma pessima attrice. Il ridicolo involontario fa capolino da ogni dove, con queste "donne vere", cagne allupate pronte a sbranarsi per il successo nel corrotto mondo dello show-biz di Las Vegas (where else?), capitale del vizio. Non è questione di bigottismo, è che non c'è spirito goliardico, trash o cronenberghiano, solo un imbecille atteggiamento mercenario che irrita a dismisura quando dilaga l'ipocrisia, quando si vogliono solleticare i pruriti dello spettatore con la volgarità intellettuale ed il becero, atti lesbici fra due arpie in gara per troiaggine e stronzaggine, enfasi di riscossa alla Rocky e Staying Alive, cattivo gusto scambiato per libertà dai tabù, stupri di gruppo proposti ambiguamente (condannati, ma intanto fanno brodo…), coreografie porno che insultano la danza (“Volevo un musical contemporaneo”), e poi si fa la morale, con la protagonista che deve dimostrare a se stessa di non essere una puttana o il coreografo di colore che fa una netta demarcazione fra sesso e ballo e poi sa inscenare solo uno spettacolo "hard". Verhoeven, di palesemente consolatorio, ci propina solo l'epilogo, dopo una devastante discesa agli inferi, feroce nei confronti di tutto il rappresentato (motivo per cui, in seguito, l’opera è stata rivalutata). Ma le pellicole pornografiche sono meno subdole. Se non altro, l’autore ha avuto l’umiltà e lo spirito di ritirare di persona il Golden Raspberry Award. Ovviamente in Tv passa una versione meno scandalosa.

Il corpo è un involucro stretto. Si dibatte, vibra, attraversa l’estasi della danza mentre la macchina da presa ne sonda gli inevitabili limiti. In Showgirls la protagonista Nomi cammina sopra un crinale: da un lato, la lotta per la sopravvivenza nella luccicante e insidiosa Las Vegas scatena in lei una reazione continua, esplosiva e incosciente, verso l’esterno; dalla parte opposta, invece, è la super-consapevolezza della propria figura a farle prendere atto del potenziale espressivo e prevaricatore che essa pone in essere (a che servono in fondo gli onnipresenti specchi se non a permettere a Nomi di “uscire” dal proprio corpo per osservarlo implacabilmente dall’esterno? Oppure, non vediamo forse impressa nelle superfici riflettenti l’immagine di un campo di battaglia?).
È così che Paul Verhoeven, con le sue traiettorie fluide e gli insistiti movimenti di macchina, mette in scena il conflitto tra Nomi e il mondo, scontro che vede proprio nel corpo (e nella performance fisica) la co-presenza dello slancio creativo e della pulsione alla competizione e alla distruzione.