TRAMA
Il sub Jonas Taylor viene ingaggiato dal miliardario Jack Morris e dal Dr. Minway Zhang per una missione di salvataggio “al di sotto” della Fossa delle Marianne, in cui uno strato di solfuro di idrogeno ha creato un termoclino che ha isolato un ecosistema abissale in cui vivono creature marine sconosciute. O presunte estinte.
RECENSIONI
Non si sa quanto consapevolmente, i titolisti italiani, “traducendo” The Meg con Shark – Il Primo Squalo, citano il Castellari de L’Ultimo Squalo (1981), ipotetico e ovviamente apocrifo terzo capitolo della saga Jaws che plagiava il capostipite Spielberg-iano (la Universal fece anche causa, e la vinse). Citano, cioè, uno Squalo minore e (di)sgraziato, shark movie derivativo con momenti di genuino imbarazzo. Forse, per vie traverse, ci hanno quasi azzeccato (i titolisti, dico). Il film di Turteltaub è tra le cose più stupide e innocue che si possono girare con 150 milioni di dollari a disposizione. The Meg mostra un dogmatico rispetto verso l’istituzione del Monster Movie (la Creatura si fa attendere quasi metà film), rimastica con una sfrontatezza commovente cliché fossili che il pudore impedisce, in questa sede, di (provare a) citare puntualmente e sfoggia sequenze action che alternano momenti cartooneschi (il megalodonte che insegue e prova a mordere Statham sembra un out-take live action di Finding Nemo) ad altri la cui costruzione è talmente rivista che si perde nella notte dei tempi del cinema stesso (la pinna in lontananza, le nuotate disperate verso la barca).
La verità, piuttosto sorprendente ma lampante, è che The Meg, a livello di sceneggiatura e costruzione dei personaggi, non si discosta molto dalle produzioni Asylum à la Mega Shark Vs. Crocosaurus, se non fosse per il budget centuplicato e per la tendenza dei film dello Studio californiano a sparare tutte la cartucce creaturistiche nei primissimi minuti. Paragone ancora più calzante è quello con l’incredibile Shark Attack 3: Megalodon (coproduzione americana/israeliana/sudafricana del 2002) la cui cifra va forse ricercata in una effettistica talmente artigianale da rasentare il sublime. Tutto questo per dire che The Meg è un film la cui unica, ipotetica forza, se così si può dire, è l’assoluta mancanza di ambizioni e serietà. Non sembra neanche una megaproduzione di un certo peso quanto uno straight-to-video anabolizzato. Ma non troppo. Perché anche la pur costosa Computer Grafica conserva qualcosa di artificiale e legnoso che si riscontra, appunto, in produzioni nettamente più povere e approssimative.
Si tratta, a conti fatti, di intrattenimento per famiglie, del tutto innocuo, che rimastica un immaginario sharky già rimasticato e non sfrutta neanche come dovrebbe/potrebbe l’elemento esagerazione, fornito dalla presenza di uno squalo di oltre 20 metri, al quale però non si dedicano molte sequenze pensate per valorizzarne, anche visivamente, le dimensioni (una pinna in lontananza è una pinna in lontananza, l’unica eccezione è forse quella del “morso” al tunnel nella stazione sottomarina che strappa un sorriso, di nuovo, da cartone animato).
A conti fatti, rimane la sensazione di una grossa occasione persa. Toccherà riguardarsi Blu Profondo per l’ennesima volta.