TRAMA
Lo sceriffo di Tombstone Wyatt Earp con i fratelli Morgan e Virgil sta cercando l’assassino del fratello minore James e insieme a Doc Holliday si imbatte nella losca famiglia dei Clanton…
RECENSIONI
Impossibile sottrarsi alla sublime e palindromica tautologia “John Ford è il western”, come del resto è impossibile sottrarsi al fatto che al grande cineasta irlandese bastano tre soli film nell’ambito della sua sterminata filmografia (Sfida infernale, Sentieri selvaggi e L’uomo che uccise Liberty Valance) per esemplarizzare l’epopea del grande Ovest, dal suo sorgere fino al suo definitivo declino. Tre pellicole dall’impatto estetico straordinario e straordinariamente coinvolgente per elaborare una vera e propria mitografia del genere americano per eccellenza attraverso tre passaggi decisivi, storici e, in qualche modo, hegelianamente dialettici, ma fondamentalmente simbolici, rappresentati dall’istituzione della legge “positiva” (Sfida infernale), dall’appartenenza alla legge naturale (Sentieri selvaggi) e dalla dissoluzione del cosmo westerniano causato dalla legge del progresso (L’uomo che uccise Liberty Valance).
Naturalmente non è la storia in sé a possedere un valore esemplare quanto la sua mitizzazione operata mediante la “fabbricazione” di un immaginario prodotta da dispositivi culturali quali la letteratura, il cinema, il teatro etc. Tale il motivo fondante del fatto che Sfida infernale lavori proprio sull’elemento dell’immaginario consentendo infatti agli aspetti mitologici del film di precedere l’opera filmica stessa. L’episodio fin troppo sedimentato nella memoria collettiva dello scontro all’ O.K. Corral, la stupefacente faida tra le famiglie degli Earp e dei Clanton che si saghizza nel corso della storia del cinema, nelle varie rivisitazioni (della quale comunque quella di Ford rimane, non diciamo tanto più esteticamente convincente, quanto più persistentemente presente come traccia mnestica) e reinterpretazioni, stupefacente soprattutto perché per quanto Wyatt Earp faccia di tutto per contenerne la visceralità dell’odio scaturito negli argini di una presunta legalità, le sanguigne dinamiche interfamiliari coinvolgono sentimenti e pulsioni troppo profondi e forze troppo centrifughe per non debordare la superegoicità della legge. Tombstone come scenario della mitopoiesi che si verrà annunciando. Poi le figure contradditorie tipiche di tutto il cinema fordiano: lo sceriffo Wyatt Earp che al contrario dell’Ethan Edwards diSentieri selvaggi (che nell’ultima straordinaria inquadratura rinuncia ad entrare nelle quattro mura domestiche rimanendo nel suo luogo naturale, l’Aperto della Monument Valley) sembra sospeso in una situazione di indecidibilità tra nomadismo e civilizzazione (l’insistenza nel volersi ripulire, la barba, il profumo), legge naturale e legge morale o positiva (veramente magnifica l’inquadratura, unica, in campo lunghissimo, che lo vede incedere verso il duello finale, sintesi perfetta delle due idee di giustizia, lo scontro ordalico, e naturalità come spazio infinitamente largo). E poi Doc Hollyday (Mature gigantesco), il loner per antonomasia, colui che trasforma in malattia e stato psicotico il suo senso di disagio e inadeguatezza per un mondo che non gli appartiene e non gli apparterrà mai perché egli è l’incarnazione più pura dell’eroe romantico, cioè dello sconfitto dalla società e dalla storia, costretto a riconoscere tutta la sua lacerante schisi dovuta all’antinomia libro-pistola attraverso il fondo delle bottiglie di whiskey. Film convulso, ombroso, malinconico, insieme aL’uomo che uccise Liberty Valance trai più splendidamente notturni e inquietati di Ford. Capolavoro.