TRAMA
Si gira: una regista e due attori alle prese con una scena di sesso.
RECENSIONI
In una scena di A mia sorella! le protagoniste assistono a un'intervista televisiva in cui una regista parla delle difficoltà della rappresentazione del sesso nella finzione scenica: Sex is comedy parte da questo spunto didascalico e ne costituisce l'infelice dilatazione. Il film non è una rifritta considerazione sul mestiere del regista, è piuttosto la passata al microonde della rifritta considerazione sul mestiere della regista Catherine Breillat. Di lei e di nessun'altra. E' opera in cui echeggia, stentorea, per tutta la sua improbabile durata, una sola parola: io (io io io io io io ad libitum). Fanno corollario derive assertive ed egotiche al suono di "detesto", "odio" "non sopporto" oppure "amo", "prediligo", "mi affascina" etc. Se gli attori sono bestie, i registi sono dei poveri sfigati che tentano invano di addomesticarli, succubi dei loro capricci e delle loro paure, timidezze, imbarazzi, stati d'animo più o meno mutevoli. Certo, a dover combattere con questi cataclismi meglio sarebbe un lavoro vero, soprattutto se si deve parlare come in un romanzetto da stazione ferroviaria ambientato su un set cinematografico il più qualunque possibile, sparando insulsaggini a spiovere, facendole passare per considerazioni d'alto profilo, e avendo come coro coglione un'intera troupe che t'imbecca e filosofeggia allegramente con te. Il film dice tutto nei primi sintomatici minuti: in spiaggia, d'inverno e al freddo, si gira una scena che dovrebbe essere estiva (perché lo spettatore lo sappia dal principio e se lo ficchi nella zucca: il cinema è finzione e la sua insincerità fa divenire questa messinscena al quadrato un gioco di specchi rutilante... Guardate la fine e giudicate: che ne volete fare di Snake eyes di Ferrara?) e che crea non pochi problemi all'autrice e alle maestranze tutte. Si continua in modo meccanico, in un pantano di battut(acc)e sull'arte dell'attore e sulle sue fragilità, il presunto dispotismo (illuminato) del regista, la ricerca dell'effetto drammatico e altri similiari argomenti, con tutto l'armamentario di ovvietà a propria (povera) disposizione per giungere al cuore della questione: girare la scena di sesso che questi bastardi attorucoli sembrano voler evitare ad ogni costo. Qui entra in gioco la metafora (ma mica tanto) "del cazzo" e davvero non c'è più scampo per nessuno: l'attore gironzola per il set con la sua bella protesi eretta e non vede l'ora di finire la storiaccia (il film in tournage? Scenes intimes, guarda un po') anche se mostra disinvoltura e scioltezza e scherza con tutti (ma quanto patì prima, pure in sogno il cazzone lo perseguitava...). La scena si gira, il membro finto viene ficcato (o non viene ficcato, è lì il dubbio, il bello, ossia il brutto, del film) tra le chiappe dell'attrice tapina (la scena riprodotta è quella della sodomia di A mia sorella! e anche le terga sono le stesse) la quale, guarda un po', langue, soffre, si lamenta e infine, liberata, piange, piange tra le braccia della regista che le dice che la scena era magnifica in un abbraccio di reale cinismo d'autore. Sex is comedy (ma dov'era - non dico il sex ma - almeno la comedy?) è opera detestabile non perché autoreferenziale (lo è) e compiaciuta (pure) dato che le ossessioni al cinema (che è di tutte le ossessioni la Magnifica) sono legittime, ma perché ogni legittimità viene meno quando i propri sghiribizzi non supportano un bel nulla né sono supportati da alcunché, perché in questo filmaccio che vorrebbe essere teatro della chiacchiera colta (in fallo, è il caso di dirlo) è duro rinvenire qualcosa (a un livello qualsiasi, non starò a lavorar di fino) tutto riducendo, la nostra Breillat, alla sua morbosità nefasta della quale, è lecito pensarlo, non gliene frega niente a nessuno, soprattutto se deve essere raccontata in modo così pedestre ed enfatico, finto intelligente e francamente borioso d'immotivata boria. Dietro questo giochino al massacrino ci sono slogan (appuntatevi questo, cari registi in erba: "per i film ci vogliono i letti duri") e strizzatine d'occhio (della serie: fare film è una corsa ad ostacoli, il mio è il cinema degli estremi e ti dimostro perché, siediti qui un'ora e mezzo e te lo ripeterò fino alla nausea) e niente d'altro. Mi ha ricordato un episodio di un paio di anni fa a un concerto in piazza di una cantante italiana molto in voga. Un'amica mi prende per il braccio e fa: "Questa canta e canta ma lo senti che i suoi non sono veri problemi!". Operate le debite trasposizioni...