TRAMA
Il Presidente della nazione è coinvolto in uno scandalo sessuale. Assume un “esperto di crisi” che s’appoggia ad un produttore hollywoodiano per inscenare una finta guerra contro l’Albania.
RECENSIONI
Sorprendente satira politica al vetriolo, sceneggiata da Hilary Henkin e David Mamet: è come se la farsa di un Il Ruggito del Topo al contrario (l'America che, per secondi fini, dichiara guerra al paesino inerme) incontrasse l'inquietante messinscena di Capricorn One (la finta spedizione su Marte: il mezzo è il messaggio) e gli accenti paradossali e fantapolitici di La Seconda Guerra Civile Americana. Politica=finzione, Casa Bianca=Hollywood. Il Presidente è un prodotto da vendere a suon di spot e ritorni di immagine, ogni mezzo è lecito affinché lo show (leggi: il mantenimento delle posizioni di potere) continui, gli imprevisti (e che imprevisti!) non possono fermare il produttore esecutivo scaltro e creativo, che tasta l'audience con le previews (il discorso presidenziale), aggiusta il giornaliero in post-produzione, riesce a convincere un cane a dimenarsi al posto della coda (wag the dog), manipolando e rigirando le informazioni dal "set". Se le notizie vengono ricostruite per i mezzi di comunicazione, se i politicanti corrotti sono le fonti, se il mondo esterno esiste solo in quanto e come appare in Tv, cosa ci impedisce di pensare che la Guerra del Golfo sia stata in gran parte girata in uno studio hollywoodiano? Il pubblico della politica è lo stesso che sgranocchia popcorn e crede all'invasione marziana raccontata da Orson Welles: basta distrarlo, fuorviarlo, impaurirlo, esaltarlo e spingerlo come un gregge dentro il proprio ovile. C'è di che sprofondare nel cinismo, ma Levinson ha un pregevole passato da narratore tragicomico (...E Giustizia per Tutti, su tutti), opera la demolizione del sogno americano con l'amaro nel cuore ed il sorriso sulle labbra (la pseudo-"We are the world" orchestrata da Willie Nelson è una sublime gag sul patetismo) e redarguisce il Cinema che si perde dietro la vanagloria del successo, ritrovandosi morto suicida. Tratto dal romanzo "American hero" di Larry Beinhart, in odor di Sexygate (Bill Clinton e la Lewinski sono venuti dopo).