Horror, Recensione

SEED

NazioneCanada
Anno Produzione2006
Genere
Durata90

TRAMA

Sam Seed, un pazzo assassino, è condannato a morte per mano di Warden Wright. Prima che l’esecutore prema l’interruttore, Wright domanda a Seed: “Hai qualche ultima parola?” e Seed risponde: “Ci vedremo di nuovo!”. Dopo tre scariche elettriche, con il sangue che esce dagli occhi, il condannato continua a respirare. Il boia, Wright e il dottore, collettivamente d’accordo, decidono però di dichiararlo morto. L’uomo viene così sepolto vivo. La sua vendetta sarà terribile.

RECENSIONI

Nudo e crudo

Un nuovo serial killer si aggira tra gli schermi ed è destinato a lasciare il segno. Sembra impossibile poter aggiungere qualcosa di rilevante ai chilometri di pellicola impressionati da nefandezze di ogni tipo, ma il tedesco Uwe Boll (autore di film tutt’altro che memorabili come Alone in the Dark e House of the Dead) riesce a distaccarsi dalla patina rassicurante di tanto cinema mediocre. Le armi che usa non sono delle più leali, ma l'effetto shock è garantito. Certo, si dirà, è facile scuotere dal torpore mostrando l'orrore senza filtri, nella sua nuda crudeltà, ma il coraggio di Boll nel non cedere a nessun compromesso giustifica la gratuità di certe scelte. A partire dai discutibili titoli di testa che scorrono insieme a immagini di reali torture su animali, fino a una didascalia che è una chiara dichiarazione di intenti ("Tutto ciò che nasce è degno di essere distrutto"). "Seed è un film sull’esistenza umana. Non è un film horror divertente", dichiara Boll, e il suo tentativo è quello di non circoscrivere il male dandogli motivazioni, giustificazioni e vie di fuga, ma palesandolo nella sua efferatezza. La storia pesca a piene mani nel già visto, con un temibile omicida seriale assetato di vendetta, prima catturato e poi in fuga, ma fin da subito colpisce lo stile asciutto e insieme carico di Boll: pochissimi dialoghi, la dominante del buio ma al contempo la efficace stilizzazione delle coordinate dell’azione attraverso frenetici movimenti della m.d.p manuale, l’assenza di psicologismi, qualche eccesso fumettistico (il poliziotto a bordo del motoscafo che raggiunge l'isola prigione - il vicino di cella del serial killer - l'uscita dalla bara) e alcune sequenze destabilizzanti difficili da dimenticare. Su tutte, oltre a qualche pugno nello stomaco ben assestato e al perfido finale, il sadico piano sequenza che mostra l’uccisione brutale di una signora legata a una sedia, presa a martellate in micidiale progressione. Minuti difficili da digerire che superano consapevolmente la soglia di ciò che può essere replicato attraverso l'utilizzo delle immagini e creano un legame con la morbosità dello spettatore sfidandone il compiacimento. Rispetto alla scia aperta da Hostel, c'è l'assenza di qualsiasi ammiccamento cinefilo e una maggiore onestà nel trattare una materia sanguinosa che non diventa mai gioco. L'orrore resta orrore, dall'inizio alla fine. Può non piacere, disturbare, shockare, irritare, ma ha un suo perchè e non bara.