TRAMA
Lo scrittore Mort Rainey è in piena crisi creativa e sta affrontando il difficile divorzio dalla moglie. Come se non bastasse, un giorno bussa alla sua porta uno sconosciuto che lo accusa di plagio e inizia a minacciarlo…
RECENSIONI
Koepp torna alla regia dopo il piccolo, gradevole thriller parapsicologico Echi Mortali e lo fa con una schifezzuola. La cosa più strana è che Mr. David Koepp, che di primo lavoro fa lo sceneggiatore (Jurassic Park I e II, Carlito’s Way, Mission: Impossible, Omicidio in diretta, Panic Room ecc.), ha toppato proprio nel suo playground, scrivendo cioè una sceneggiatura pessima -meglio- nata vecchia -meglio ancora- nata morta. In un panorama cinematografico in cui ormai anche Ron Howard maneggia la schizofrenia per farne espediente narrativo nobilitante (A Beautiful Mind), desta meraviglia che un writer scafato come il Nostro possa confezionare uno script di tale disarmante prevedibilità: il colpo di scena finale viene infatti telefonato dopo poco più di mezz’ora, il che rende la rimanente ora abbondante di Secret Window un’esperienza sommamente tediosa. Buono il prologo, addirittura ottima (ma già troppo anticipatoria) la presentazione del protagonista: mdp che sinuosa si avvicina ad una casa in riva al lago, sale, entra dalla finestra, si avvita, si abbassa e viene risucchiata da uno specchio dove vediamo Johnny Depp stravaccato sul divano; si introduce cioè, con un’acrobazia stilistica probabilmente mutuata da Fincher e/o De Palma, suoi passati “datori di lavoro”, il (doppio) tema del doppio collocando da subito la narrazione all’interno di un locus tipico di “raddoppiamento del film”. Lo specchio allude, ovviamente, allo sdoppiamento dello scrittore protagonista (e tornerà infatti in due scene chiave: l’”autoaggressione” di Mort Rainey che si scaglia contro la propria immagine riflessa e il disvelamento pre-finale) ma anche allo sdoppiamento del film, fin dal titolo destinato a ricalcare e a duplicare un racconto nel racconto intitolato, per l’appunto, Secret Window (che è anche il titolo, con l’aggiunta di Secret Garden, del racconto di Stephen King da cui il film è tratto, il che raddoppia ulteriormente il tutto e manderà in sollucchero i fans delle scatole cinesi). Peccato che il simpatico giochino si fermi qui e che per il thriller in sé si perda quasi subito ogni interesse: la reale identità del personaggio di Turturro rimane misteriosa solo per chi è appena uscito da una decina d’anni di coma vigile, mentre tutti gli altri ci metteranno davvero poco ad anticipare la svolta à la Fight Club. Tutto il resto è noia, dai personaggi di contorno, ai tentativi di depistaggio narrativo, passando per i momenti di suspense stemperati da inopportuni inserti pseudo(meta?)parodistici e per la stanca riproposizione del classico tema kinghiano del “blocco dello scrittore”. Johnny Depp ce la mette tutta, ma rimane attore sopravvalutato che eccede in smorfiette, John Turturro non eleva il proprio personaggio al di sopra dello status di macchietta ma ha dalla sua almeno due alibi: uno narrativo, la (ir)reale identità di Shoot(h)er, l’altro relativo al doppiaggio italiano che vanifica le sfumature sudiste con le quali ha modulato il proprio accento.
