
TRAMA
L’attrice Jean Seberg, sul finire degli anni Sessanta, finì nel mirino del programma di sorveglianza illegale dell’FBI, COINTELPRO. Il coinvolgimento politico e sentimentale dell’attrice con l’attivista per i diritti civili Hakim Jamal la rese un obiettivo dei tentativi spietati del Bureau di arrestare, screditare e denunciare il movimento Black Power. L’agente federale Jack Solomon viene incaricato di sorvegliare l’attrice; i destini dei due si troveranno a essere pericolosamente intrecciati.
RECENSIONI
Chi era Jean Seberg? Una celebre attrice americana? Una musa della Nouvelle Vague? Un’icona di stile? Una ragazza inquieta e conflittuale incline alla depressione? Una sovversiva? Di lei conosciamo il suo testamento cinematografico, il cui apice fu probabilmente Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard, le foto d’archivio, i quattro matrimoni e il suicidio per overdose di barbiturici con cui concluse, ad appena quarant’anni, una vita tormentata. Il film di Benedict Andrews prova a indagare su una parte meno nota di lei, quella che la vede sostenitrice del movimento "Black Power", a favore dei diritti dei neri, e amante del suo leader Hakim Jamal. Il film ci mostra una diva elegante e ricca che sceglie di utilizzare il suo potere, le sue risorse economiche e la sua visibilità per l’affermazione di diritti civili che ritiene imprescindibili. Oggi sarebbe considerato normale, ma alla fine degli anni ’60, in cui i diritti delle comunità afroamericane erano ancora ben lungi dall’essere riconosciuti, un atteggiamento del genere era ritenuto estremista, in grado di condizionare il pubblico verso un’apertura impensabile e pericolosa. È proprio questo aspetto che il film tenta di sviscerare, sondando il periodo in cui l’attrice fu inserita in un programma di infiltrazione e sorveglianza speciale dell’F.B.I. (COINTELPRO) volto a sabotarne l’immagine per minimizzarne l’eco mediatica rivoluzionaria. In quel periodo la Seberg fu oggetto di una vera e propria campagna diffamatoria e di continue pressioni che di fatto finirono per minarne, oltre alla privacy, anche la stabilità emotiva. Il film si concentra quindi sull’inizio della relazione con Jamal, la crisi matrimoniale e il progressivo succedersi di azioni sempre più aggressive da parte dell’F.B.I..
Se la confezione è elegante e attenta al design del periodo nella ricostruzione storica, nell’eleganza dei costumi e nelle atmosfere, l’andamento è invece abbastanza piatto e si arena in una successione di attacchi e sospetti, qualche divagazione in micro storie con poco nerbo (la famiglia di Jamal, quella dell’agente federale che si ravvede), fino a un epilogo decisamente sottotono. La regia non riesce a imprimere dinamismo al racconto e si limita a illustrare con diligenza la vicenda che scivola senza picchi puntando tutto sul fascino di Kristen Stewart, incerta tra partecipazione e distacco, comunque lontana dal turbamento del personaggio. Ciò che manca è però soprattutto una scrittura solida in grado di motivare il percorso della protagonista. Il suo essere a favore dei Black Power viene dato abbastanza per scontato e indirizzato soprattutto al carisma e all’attrazione nei confronti del suo leader. Finiamo quindi per sapere poco, comunque meno di quello che vorremmo, delle scelte, personali ma anche artistiche, di Jean Seberg, della sua carriera di attrice, attraversata per piccoli episodi non particolarmente significativi e che sembrano non lasciare in lei, conseguentemente nemmeno in noi, alcuno strascico. La scelta di evitare i cliché del biopic tradizionale, che il più delle volte vuole dire tutto e procede per pennellate superficiali, soffermandosi su un momento specifico, è apprezzabile, ma non trova l’approfondimento necessario per rendersi davvero interessante e comunicativa.
