TRAMA
Joel e Clementine si incontrano, si studiano, si piacciono e si amano. Poi però si lasciano, e decidono di dimenticarsi…
RECENSIONI
Da anni Jim Carrey sta cercando di oltrepassare la sottile linea che divide comedy e drama sugli scaffali di Blockbuster. Con Eternal Sunshine, ci è finalmente riuscito. Non solo. Grazie ad una interpretazione asciutta ed impeccabile, e ad una faccia che finalmente comincia ad acquistare la solidità necessaria a reggere la pressione della pellicola, il plastico comico si candida ad una possibile nomination all'Academy Award nel 2005. Il merito? La felice collaborazione di Charlie Kaufman e Michel Gondry, che se da un lato non ha portato fortuna a Patricia Arquette nel primo lungometraggio scritto e diretto dalla brillante coppia, Human Nature, dall'altro ha finalmente confermato il talento drammatico di Carrey. Eternal Sunshine è una ventata d'aria fresca, un film in puro stile Kaufman (intricato, cervellotico, spiazzante, ibrido) al quale si aggiunge lo stile delicatamente surreale di Gondry, che non rinuncia al pieno orchestrale dell'illusionismo imparato sui banchi del videoclip. Il risultato? Un piccolo gioiello architettato per stupire e commuovere, per sedurre e sbalordire.
Ma che cos'è Eternal Sunshine? Di che cosa parla? L'amore trionfa alla fine? Scopritelo da soli. Posso solo scrivere che l'istinto europeo c'è e si percepisce in più di una scelta narrativa. E visiva. Le spiagge di Long Island sembrano quelle della Normandia. Ma ho già detto abbastanza. Eternal Sunshine è un film che va goduto con gli occhi, con il cervello e con il cuore, che merita più di una visione e che è destinato ad imprimersi nella memoria, appunto, con la grazia di un bacio sulla fronte, di una carezza, di una lacrima che si forma lentamente sugli occhi della persona amata dopo che le avete confessato di amarla. È un momento raro nel panorama del cinema commerciale di questo terzo millennio, per cui, buona visione. E cercate di non dimenticarvi di coloro che amate.
L'alternativa all'originale e improponibile "L'eterna luce solare della mente immacolata" (da un verso di Alexander Pope) e' stata per i distributori italiani "Se mi lasci ti cancello". Ed e' curioso perche' la discutibile scelta coglie in pieno il contenuto del film, ma ne falsa totalmente lo spirito. Non si tratta infatti di una commedia demenziale, ma di un viaggio nella memoria difficilmente etichettabile. Alla base c'e' la creativita' di Charlie Kaufman che, dopo averci trasportato nella mente di John Malkovich, ci conduce in quella di un uomo qualunque, lasciato dalla fidanzata. Si ipotizza, infatti, che una societa' renda possibile la cancellazione dal cervello di tutti i ricordi lasciati da un individuo. Basta un'unica seduta, di neanche ventiquattro ore, perche' una persona, che magari si e' amata alla follia per anni, scompaia totalmente, come se non si fosse mai conosciuta. L'idea non e' particolarmente originale (solo l'anno scorso il deludente "Paycheck" e il moderatamente simpatico "50 volte il primo bacio") ma sempre stuzzicante, e nelle mani di Kaufman diventa lo spunto per la rielaborazione di un rapporto affettivo. L'estroso sceneggiatore ci trasporta in un universo, dai sottintesi psicologici venati di misoginia, popolato da donne nevrotiche, aggressive e asfissianti e uomini ingenui, un po' tapini e fondamentalmente irrisolti. Cosi' sono i due protagonisti (lui, introverso e schivo, lei chiassosa e impulsiva), come anche i personaggi di contorno. Una diversita' tra i sessi, forse un po' schematica nonostante la verita' dei personaggi, che ambisce all'unione complementare ma inciampa nella incompatibilita'. Un andamento ad incastri permette di ricostruire, in un puzzle della memoria, l'altalena amorosa di una relazione sentimentale, dal primo incontro fino alla separazione, attraverso tappe di progressiva e crescente disillusione. Kaufman, pero', non si accontenta di soffermarsi sulla coppia protagonista e costruisce ulteriori sottotrame, che ben si innestano nel racconto rischiando tuttavia di disperdere il potenziale emotivo nel divertissement narrativo. Poco lineare, inoltre, la scelta di permettere ai ricordi di interagire con la loro cancellazione, perche' tradisce le premesse surreali, ma logiche, della vicenda. La messa in scena di Michel Gondry asseconda l'ingombrante talento di Kaufman ed e' particolarmente efficace nell'inserimento degli effetti speciali, lontani da uno sfarzo hollywoodiano iperbolico, ma vacuo, e sempre supportati da brillanti soluzioni di regia. Il nutrito cast aderisce al progetto con convinzione: Jim Carrey limita le smorfie a un paio di siparietti grotteschi dalla psicologia spiccia (la fuga nell'infanzia) e rende bene la mestizia del suo personaggio; Kate Winslet e' luminosa e vitale e Kirsten Dunst e' una perfetta lolita vendicativa. Fa inoltre piacere incontrare Elijah Wood in abiti non tolkeniani e Mark Ruffalo conferma ancora una volta le sue doti mimetiche (difficile affiancare il giovane maldestro a cui da' vita al macho seduttore di "In the cut" o al poliziotto sfortunato di "Collateral"). Il finale lascia aperte le porte al destino, non si accontenta di compiacere totalmente le aspettative, liete, del pubblico e non affonda nel greve come i caratteri dei personaggi lascerebbero supporre. Il rifugio nelle mezze tinte e' apprezzabile, ma l'impatto, molto cerebrale, avrebbe potuto essere piu' struggente.
Un film che si addentra e affonda nel vissuto dei suoi protagonisti, che, con sublime distorsione, ne rivela le sfaccettature, la variabilità, la complessa multidimensionalità, ESOTSM è fondamentalmente una commedia romantica che non ha timore di utilizzare in entrambe le chiavi (quella brillante e quella sentimentale drammatica) certi elementi propri della science fiction: anche (ma non solo) in questo senso è un lavoro sorprendentemente originale, un vero miracolo in un cinema asfittico e tendenzialmente stereotipato come quello americano degli ultimi lustri. Gondry non ha assolutamente timore nel privilegiare il consueto basso profilo, sul quale tutta la sua opera si è sempre imperniata, e a girare l’intero, contorto e avviluppatissimo, percorso esistenziale di Joel facendo largo uso di macchine a mano, optando per tonalità livide, per l’armamentario scenografico paradilettantistico a lui abituale (i marchingegni della Lacuna Inc. che sembrano puro trovarobato), con effetti di illusionismo visivo estremamente semplici esaltati dal perfetto montaggio, piegando la straordinaria maschera di Jim Carrey sulla sbattuta, tirata, dolentissima immagine del suo personaggio, costringendo una nuova star come Elijah Wood alla comparsata.
Alla seconda collaborazione con Charlie Kaufman (esempio più unico che raro di sceneggiatore star, riferimento chiave dei film ai quali collabora come può esserlo il regista o l’attore principale - è naturale pensare a un passaggio alla regia in futuro per il geniale screenplayer -) Gondry riesce, come in Human nature, a imporre alla grande la sua personalità poiché, come egli stesso ha avuto modo di sottolineare, non opera sugli script di Kaufman un semplice lavoro di meccanica messa in immagini, ma li interpreta, cerca di tradurre visivamente l’impressione personale che ne ha ricevuto, dimostrando in più un’innata capacità di scavare nell’interiore dei personaggi e di restituirlo integralmente sullo schermo. In questo caso, poi, il nodo tematico del film, nascendo da un’idea comune, appartiene ad entrambi nello stesso modo e, come per il precedente lungometraggio, si riconduce a quella che, stilisticamente e concettualmente, ci pare una poetica visiva tra le più personali e riconoscibili in circolazione. E’ particolarmente sapiente il modo in cui il regista, nel rispetto dei meccanismi della commedia, dà ampio spazio al confronto tra i sessi senza edulcorarlo, al lato afflitto e tormentato della questione non rinunciando, tra squarci grotteschi e comici, a brucianti punte tragiche, a momenti di vera e propria claustrofobia kafkiana, a complicati percorsi di senso (laddove il discorso sul senso è sempre molto relativo per Gondry che, lavorando non poco sul piano onirico, una forte dose di confusione e di incomprensibilità la inocula naturalmente nelle cose che dirige - non è un caso che ami il cinema surrealista -: in questa chiave l’accettazione di un piano di incomprensibilità si incastra perfettamente nella sua opera poiché, anche se sono anni che opera negli USA, rimane, per vocazione e cultura, un autore profondamente europeo). In questo film si impasta la screwball più classica ( The awful truth è stato un titolo molto citato) con il cinema d’autore del Vecchio Continente, il teatro dell’assurdo e l’avanguardia e, come in Essere John Malcovich, come in Human nature, come in Adaptation, come in Confessioni di una mente pericolosa, il vero protagonista della pellicola è il cervello più ancora del cuore. E ancora a proposito del legame col cinema europeo: il modo con cui i film scritti da Kaufman giocano con le identità, il tempo e la memoria ricorda molto certi Resnais, tanto che mi spingerei ad affermare che se Human nature è il suo Mon oncle d’Amerique, Adaptation il suo Providence e Confessioni di una mente pericolosa il suo Stavinsky, con ESOTSM lo scrittore ha creato il suo Je t'aime, Je t'aime o il suo L'anno scorso a Marienbad (parallelo tutt’altro che azzardato: la pervicacia del rifiuto di Lei a ricordarsi di Lui; i flashback che proiettano desideri ed eventi passati o che riflettono stati d’animo; i piani temporali che si mescolano, sono tutti elementi che troviamo, adeguatamente filtrati e adattati al flusso tramico, anche nello script kaufmaniano).
A questo forte nucleo tematico, quello del suicidale dissipare il passato – i suoi segni, le sue figure – Gondry, che oltre che dell’aspetto strutturale e visivo, si dimostra supremo gestore del coté drammatico (si pensi soltanto al prefinale: il momento del delicato confronto col passato rimosso, che ritorna sottoforma di voce registrata in cassetta, ha un’intensità bergmaniana), associa le costanti della sua opera: la circolarità (il film finisce dove era cominciato – l’incipit-prologo rivela essere il finale - con l’aggiunta di una brevissima coda che ci dice del destino dei protagonisti), la struttura a puzzle, la stratificazione dei livelli rappresentativi (oltre a due distinti filoni narrativi: il percorso mentale di Joel da un lato e la notte trascorsa dai membri della Lacuna Inc. dall’altro), lo sconfinamento dei piani rappresentativi gli uni negli altri (le vicende di Stan,Patrick, Mary e del dottore si ripercuotono sulla psiche di Joel; i ricordi di quest’ultimo gli vengono rubati da Patrick che gli subentra nella vita di Clem; un ricordo che si mescola all’altro – la pioggia allora può cadere nella stanza, il mare dilagare in salotto, il lettone stare in riva a una spiaggia innevata, il fascio luminoso della pila, in mano a Clementine nel loro primo incontro notturno, diventare la luce ossessiva di tanti ricordi e allucinazioni -), la rappresentazione dell’infanzia (corredi&memorabilia), il sognol’incubo, la fuga dalla realtà. Tutto questo si combina magicamente in un film che, interpretato da dio dall’intero cast, conferma, se ce n’era bisogno, che Michel Gondry è un grande artista, che si confronta con il cinema con il medesimo atteggiamento, lo stesso candore, lo stesso contagioso entusiasmo col quale ha sempre operato negli altri campi e che con ESOTSM ci regala un film che invade fragorosamente cuore e testa.
Beati gli smemorati che ogni volta lo rivedranno per la prima volta.
N.B. - Il titolo deriva da questo passo del poeta Alexander Pope:
How happy is the blameless Vestal's lot!
The world forgetting, by the world forgot.
Eternal sunshine of the spotless mind!
Each pray'r accepted, and each wish resign'd.
“Eloisa ad Abelardo”
Se mi lasci ti cancello, il vomitevole titolo italiano, lo nomino qui per i motori di ricerca.
→ Monografia Tascabile: Michel Gondry