Commedia, Sala

SCUSA MA TI VOGLIO SPOSARE

TRAMA

Alex e Niki tre anni dopo. Lui capisce che lei è la donna della sua vita e le chiede di sposarla. Quello che sembra un passo inevitabile e indolore scatenerà invece dubbi e ripensamenti. Ma potranno i due piccioncini non vivere felici e contenti?

RECENSIONI

Li avevamo lasciati appiccicati e contenti in vacanza dentro a un faro e li ritroviamo dopo tre anni ancora innamoratissimi. Sull'isola hanno vissuto (non si sa bene di cosa) per otto mesi, ma l'amore richiede continue conferme e prove, vero must collettivo secondo l'ormai dilagante "Moccia pensiero". Ecco quindi il pubblicitario rampante e ricchissimo regalare alla gaudente fidanzata un appartamento enorme e con tanto di terrazza con vista su San Pietro. Il loro amore sembra proprio non avere (e dare) tregua. Al mattino, appena svegli, lei in mutandine deve correre a vestirsi per andare all'Università e lui languidamente l'abbraccia dicendo "Se ti vesti...fai doppia fatica!". Ma siamo a inizio film e l'idillio deve incontrare inevitabilmente difficoltà. Nel caso specifico è in lei che sorgono dubbi dopo che lui, per trattenerla ancora più a sé dopo avere sbirciato qualche chat di troppo, le chiede di sposarla in un "romantico" week-end (in cui i due sembrano seguire il rigido catalogo dei luoghi comuni parigini, manca solo la Torre Eiffel). Ironia a parte, bisogna riconoscere che il sequel del grande successo Scusa ma ti chiamo amore punta a un salto di qualità. Prova infatti ad allargare il bacino di utenza soffermandosi non solo sul trito conflitto generazionale e affettivo dei due protagonisti, ma tentando anche un approfondimento delle dinamiche sentimentali degli amici della coppia, sia gli adolescenti, sia, soprattutto, i quarantenni. Lo sguardo corale giova all'insieme, anche perché la sceneggiatura, pur nell'abuso di voci off che spiegano ciò che le immagini evidentemente non chiariscono a dovere, riesce a tenere sotto controllo il sentire dei molti personaggi. Il problema, però, oltre a una banalità diffusa, è sempre quello: si parte da situazioni anche realistiche nella loro problematicità, si osa pure affrontare le debolezze senza che siano solo le virtù o i superlativi a dominare, ma arrivati al dunque si azzera in poche battute la strada intrapresa. A vincere sono quindi anche stavolta gli stereotipi e le macchiette, con una par condicio tra mollati e ripresi che sembra calcolata a tavolino per non disturbare o lasciare strascichi. Continua poi a colpire la consueta assenza di riferimenti alla contemporaneità (liquidata nella battuta "L'unico prodotto che non risente della crisi sono i preservativi"), scelta che allontana dai personaggi, alle prese con una quotidianità semplificata rispetto a quella della maggioranza del pubblico a cui il film si rivolge. Dal punto di vista prettamente cinematografico, si confermano il piglio anonimo, ma funzionale, della regia, l'impaginazione scorrevole, la confezione ammiccante (scelte musicali incluse), gli interpreti affiatati e brillanti, sia i protagonisti che i comprimari, e la totale assenza di originalità. Di positivo c'è un minor eccesso di sciocchezze pseudo-giovanilistiche (una kitschissima scritta al neon con il titolo del film sotto a un ponte sulla Senna, un altrettanto kitschissimo bacio traditore davanti a un cuoricione rosso di polistirolo, il terribile finale a Ibiza, il ridicolo arrivo di lui in Harley-Davidson e poco altro), ma la suddivisione dei caratteri punta sempre al solito modello maschilista: la donna esige e l'uomo ha il dovere di dare. L'amore dipende da questa equazione e diventa merce di scambio. È l'uomo infatti a comprare un sentimento che resta comunque vincolato alla necessità unilaterale di dover stupire, che sia attraverso il regalo di un appartamento o di un weekend all'estero, oppure con una prima uscita al cimitero protestante di Roma per mostrare la tomba del poeta inglese John Keats (eletto dal rivale a pegno d'amore). Ma una pizza e una birra mai? E nemmeno un "Ti voglio bene per quello che sei e non per quello che mi dai"? Tra quadretti familiari risaputi, preparativi per il matrimonio visti e stravisti (cena delle rispettive famiglie sulla scia di "Ti presento i miei" inclusa), autocitazioni ironiche (anche lei mette il lucchetto sul ponte Milvio), product placement astutamente diegetici e pulsioni il più possibile ammorbidite, il lieto fine arriva, appiccicato ma, chissà perché, necessario. Nient'altro da aggiungere per un film che si accontenta di essere innocuo, superfluo, anche simpatico, ma decisamente superficiale.