Horror, Recensione

SCREAM 2

TRAMA

Diversi mesi dopo la strage di Woodsboro. Sidney ha iniziato il college, ma il passato (complice l’industria cinematografica, che ha tratto dalle sanguinose vicende di cui sopra l’horror Stab) non vuole saperne di passare. Gli omicidi ricominciano…

RECENSIONI

Il puro orrore attraverso il cinema (im)puro: l’armata degli stilemi più triti chiede il sangue dei cinefili più scarsi. Assistito ancora una volta (ma sarà l’ultima, dato che il terzo capitolo recherà la firma di Ehren Kruger) da Kevin Dawson's Creek Williamson, Craven torna a giocare con il repertorio slasher, concentrandosi sui meccanismi del sequel (del doppio, del remake, della revisione critica). Un gioco al massacro terrificante quanto ironico, in cui i personaggi sono pedine, arnesi di scena, marionette mosse da un burattinaio invisibile e perverso, deciso a fare compiere loro i percorsi più assurdi, per poi risolvere i nodi della complicatissima trama in un finale comicamente lungo, aperto, chiuso e riaperto come una piaga purulenta impossibile da curare, una maledizione biblica (un parricidio?) da scontare fino alla fine del (loro) mondo. Se lo sceneggiatore cerca con ogni mezzo (preferendo i più pretenziosi) di conferire una parvenza di coerenza al castello di citazioni e stereotipi assemblati con impeccabile leziosità, il regista punta tutto (giustamente) sull’istante cinematografico, sull’esplosione improvvisa, sulla sorpresa pura e squisitamente stomachevole. Il film come parodia della televisione (la recitazione è tutta un programma) e televisione nella parodia (Tori Spelling from Beverly Hills 90210, Joshua Jackson – per cui vedi ancora una volta alla voce Dawson's Creek – ), il cinema come proiezione e riproduzione del reale [il prologo, superlativo esempio di cinema nel cinema (alla lettera), moltiplicazione potenzialmente infinita di “malsane” pratiche igieniche], la mente umana come ricettacolo di ogni idiozia anche solo minimamente plausibile (le strategie difensive esposte nella programmatica sequenza conclusiva). Ma il gioco è, alla lunga, monocorde, gli intermezzi sentimentali (la giornalista e lo sceriffo: ancora una volta, con acrimonia) sono privi d’interesse, le “integrazioni” rispetto al cast del primo capitolo non sempre brillano per efficacia. Si tratta comunque di un passaggio obbligato (e a tratti gustoso) in direzione del terzo, magnifico episodio, ardita fantasia psicanalitica fra Sofocle e Hollywood, capace di assicurare alla saga una profonda coesione, una forza inaudita, una conclusione geniale e definitiva. Forse.

Finalmente riappropriatosi dei "seguiti" (fu escluso da quelli di Nightmare), Wes Craven, mentre replica la formula vincente del primo episodio (mix di stupore, ironia e terrore, riflettendo sulla violenza generata dai film per emulazione), questa volta irride, viola e applica da manuale i cliché dei sequel. Il brano d'apertura vale già tutto il film: un gioco pericoloso fra la messinscena d'una messinscena (al cinema danno Stab, ispirato ai fatti di Scream e diretto da Robert Rodriguez) e il pubblico (noi) di un pubblico in sala. Dopo aver eluso le nostre difese con l'illusione d'una comoda visione (ci si identifica con quel pubblico), fa scorrere sangue drammaturgicamente "vero" (l’assassino “vero” colpisce, ingannando la visione con l’orrore su due piani, film proiettato alla sala e film ambientato nella sala). Mentre lo intrattiene, Craven cerca di fornire allo spettatore una coscienza critica sui codici del genere ed il suo comportamento nei loro confronti. Poi parte la (solita) giostra d'omicidi con giallo annesso, una replica (ancora eroine agguerrite, manipolazione dell'informazione da parte dei media) ambientata, però, in un altro luogo-convenzione del film horror giovanilistico, il campus universitario con scuola di cinema incorporata: partono le citazioni cinefile (Candyman, Nosferatu, l’orripilante…Showgirls: nella definizione di alcuni personaggi “seriali”, come Linus e Gale, ha anche qualcosa di Twin Peaks), dove le meno identificabili sono quelle sul regista William Castle (i trucchi da baraccone nella sala cinematografica) e quella di Les Carabiniers di Godard (a proposito di cinema che riflette su se stesso). Gli omicidi sono ancora più terrificanti del primo episodio (da citare la scena, angosciante, con le due ragazze in trappola nell'auto dopo l’incidente), ritorna la critica alla demonizzazione, commercializzazione e celebrazione del cinema dell'orrore, e il gioco fra rappresentazione e realtà continua a teatro (con Neve Campbell nel ruolo della Cassandra tragica). Lo sceneggiatore Kevin Williamson si diverte, anche, a destrutturate un altro tormentone, l’assenza di protagonisti neri. Peccato per un finale deludente, con colpi di scena da soap-opera, troppo caricati e virati in parodia.