Documentario, Recensione

SANS SOLEIL

Titolo OriginaleSans Soleil
NazioneFrancia
Anno Produzione1982
Durata110'

TRAMA

Videolettere inviate dal cameraman Sandor Krasna ad un’amica: riflessioni sui luoghi osservati (Giappone, Capo Verde, Guinea-Bissau, Stati Uniti, Islanda) e sulle forme della rappresentazione, lette ad alta visione.

RECENSIONI

Che cos’è la poignance des choses, questa intensità pungente delle cose? Che cos’è questa implacabilità nel colpire i sensi che ci impedisce di distogliere lo sguardo? Non è (soltanto) la seduzione delle forme, non è (soltanto) la loro disponibilità ad accogliere e guidare lo sguardo, ma più precisamente quella facoltà di essere in comunione con le cose, di entrare in esse, di essere esse per alcuni istanti. Un’intensità emozionante che nasce dal contatto e che vive esclusivamente nella dimensione della contiguità, dell’adiacenza, della frizione. Sans soleil parla di questo e lo fa con straziante esattezza, infallibilmente. Il “vassallaggio trasognato” di Okinawa, “l’uguaglianza dello sguardo” ritrovata nei mercati di Bissau e Capo Verde, “l’immagine della felicità” di tre bambini islandesi e il “pellegrinaggio a San Francisco” in tutte le location di Vertigo: cambiano i luoghi, i tempi, le circostanze, ma non cambia il timbro affettivo del film. Né documentario né travelogue: più semplicemente un elenco mozzafiato di “cose che fanno battere il cuore”. Principio strutturale di Sans Soleil è il cluster: raggruppamento informale di elementi uniti tra loro in virtù di attrazioni momentanee e aggregazioni provvisorie. L’immagine e il commento verbale (commentaire) si sfiorano, si accarezzano, intrattenendo un rapporto quasi erotico, percorso da un desiderio lancinante di compenetrarsi, di fondersi: la voce vellutata di Florence Delay si adagia morbida sulle immagini accatastate del cameraman Sandor Krasna (pseudonimo di Marker, naturalmente), avvolgendole e, per così dire, fasciandole di uno splendore malinconico. Se c’è bisogno che le immagini caschino, precipitino sulle parole subissandole di “prove visive”, Marker le fa straripare, lasciando che esse occupino interamente lo spazio del discorso, “ostruendolo”. E inversamente se le immagini reclamano un’investigazione verbale, il commentaire si spinge in esse snidandovi scintille poetiche, accendendole di un lirismo folgorante, incendiario. Senza mai dimenticarsi di misurare l’insopportabile vanità dell’Occidente, che non ha mai smesso di privilegiare l’essere rispetto al non essere, il detto rispetto al non detto. Desiderio, malinconia, disvelamento.