Drammatico

SAMSARA

Titolo OriginaleSamsara
NazioneGermania
Anno Produzione2001
Durata138'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Una carovana di lama, condotta dal vecchio e saggio Apo, attraversa le montagne alla ricerca di Tashi, un giovane e brillante discepolo che sta per completare una meditazione solitaria durata tre anni, tre mesi e tre giorni. Al risveglio dal lungo stato di trance, Tashi si trova a provare un sorprendente e profondo risveglio sessuale. In un villaggio, dove si è recato per compiere il rito di benedizione del raccolto, incontra Pema, una donna giovane e bella che metterà in crisi la sua vocazione.

RECENSIONI

Samsara significa letteralmente 'percorrimento' del flusso del divenire: il cammino di mutamento, anche di prospettive, che caratterizza l'incessante evoluzione dell'uomo. Nel film di Pan Nalin, un giovane e promettente monaco dopo tre anni, tre mesi e tre giorni di isolamento, cade in una profonda crisi a causa dell'inconciliabilità tra le proprie pulsioni fisiche e la vita per cui è stato prescelto. Nonostante una certa leggerezza nel delineare personaggi e situazioni ed un'ambientazione bellissima tra le impervie e inaccesibili vette indiane, però, il film fatica a prendere una posizione. La prima parte, pur con rispetto e pudore, mostra tutti i limiti di una religione che in nome della spiritualità priva l'uomo di esperienze naturali, come il vivere appieno la propria sessualità. Colpisce la negatività con cui il sesso viene considerato all'interno del monastero, la necessità di trovare una soluzione al risveglio ormonale del protagonista e il modo stesso in cui il giovane Lama pensa di sperimentare le cose terrene per poi potersene liberare. Ma la narrazione procede senza un incisivo spirito critico e si limita ad osservare, mostrando solo alla fine una spiritualità lontana da ogni dogma nel lungo monologo della giovane e saggia co-protagonista. Personaggio che, senza una maturazione sufficientemente motivata, si trasforma, da ingenua sposa promessa, in una sorta di divinità. Le possibili sfumature di un conflitto davvero interessante, quindi, arrivano ormai fuori tempo limite, dopo una lunga parte centrale in cui la storia si inceppa nei rodati e consunti meccanismi del romanzo d'appendice: l'amore impossibile tra un Lama e una donna qualunque, condito da rivalità, commercianti usurpatori, tradimenti acrobatici (vedere per credere!) e sofferenti e decisive scelte di vita. La sceneggiatura e il ritmo blando dell'azione permettono allo spettatore di anticipare con poca sorpresa l'evolversi degli eventi. Anche la meticolosa cura con cui i dettagli diventano protagonisti e la suggestiva scelta delle location, sembrano trattati con un occhio più vicino alle presunte esigenze del pubblico che all'essenza delle cose. Tutto è bello, perfetto, dai bambini ai costumi, dal cibo ai due giovani innamorati, le frasi guru si sprecano, ma non si riesce mai a sentire l'odore, il sapore, il mistero, di una terra a pochi conosciuta e di una religione molto di moda ma raramente approfondita. Nonostante le buone intenzioni, qualche momento intenso (il primo incontro amoroso) e la bellezza delle immagini, la verità delle cose fatica ad emergere, nascosta da una regia spesso invadente e da una patina di artifizio che non abbandona la visione. Si esce perciò dalla sala con la sensazione che i personaggi e la storia narrata ambissero a raccontare altro. Un altro che, però, pur acquistando vigore nel retrogusto, resta soprattutto nelle intenzioni.

Girato nel Ladakh, sulle vette dell’Himalaya, è l’esordio, con attori non professionisti, di Pan Nalin, documentarista per la BBC, Discovery e National Geographic. Prodotto in Francia probabilmente dopo il relativo successo di film semi-documentaristici sulla spiritualità orientale come Himalaya (1999) di Eric Valli, Samsara, parola che richiama il percorso, il flusso del divenire, è in realtà un oggetto straordinario e completamente diverso. Innanzitutto Nalin non è solo un naturalista, ma anche un pittore, e le sue immagini dalla Natura trasfigurano la semplice (per quanto magnifica) rappresentazione della realtà. Poi la drammaturgia è comunque molto affabulatoria, simbolica, allegoricamente sfuggente: si narra di una crisi mistica, ma il “percorso”, appunto, riserva non poche sorprese e, cosa più unica che rara, l’opera ha davvero un messaggio complesso e importante da trasmettere, sulla Vita, l’Amore, il Sacrificio e la differenza fra Teoria e Pratica.