TRAMA
Evelyn Salt è una stimata agente della CIA. Un giorno, è accusata di essere una spia russa dormiente. Chi è veramente Salt?
RECENSIONI
Salt è un'agente della CIA, impegnata in delicate operazioni a rischio. La conosciamo subito sotto tortura, piena di lividi e sanguinante. Ne uscirà bene (anche se alquanto tumefatta), ma con voglia di metter su famiglia e accontentarsi del lavoro d'ufficio. Proposito assurdo, com'è ovvio: una spia russa, consegnatasi agli americani, svela un piano mirabolante, partorito dall'URSS e ancora attivo nonostante l'epoca: decine (centinaia?) di bambini programmati per sostituire altrettanti minori americani, impersonarli, rimpiazzarli, viverne le vite e le carriere, arrivare ai gangli del potere a stelle e strisce e scatenare la catastrofe nucleare. Suona un po' come un'idiozia, persino ai personaggi del film, ma la sorpresa non è questa ma un’altra: uno di questi agenti nemici sarebbe proprio Salt e starebbe per uccidere il presidente russo.
La CIA si allerta, vuole vederci chiaro, ma Salt scappa via come una furia. E tutti a inseguirla. Sarà davvero lei l'agente Cenchov? O fugge per scovare chi vuole incastrarla?
La vicenda cinematografica di Evelyn Salt è il paradigma dell'action: la Jolie è dotata di fascino e micidiali abilità (le sue specialità più spettacolari sono il combattimento corpo a corpo e l'escapismo più ardito, a base di salti e rimbalzi su veicoli in movimento), il ritmo è follemente adrenalinico, il mistero sopravvive a più rivelazioni parziali e i colpi di scena, anche i più implausibili, trovano il loro incastro tra il martellio del montaggio sonoro e la foga superumana della protagonista. L’intreccio, che inizialmente sa solo di banalità disarmante (il piano sovietico, la supereroina incastrata dai cattivi, la fuga dai buoni inconsapevoli a caccia dei veri cattivi), si lancia con sfrontatezza inaudita in un crescendo foschissimo e quasi soffocante, che mescola il fumettone (le prodezze della Jolie crescono, di pari passo, in indifferenza verso le più banali leggi del creato), l’apocalittico, l’action più violento e il più cupo pessimismo socio-cosmologico. Tutti tradiscono, si muore a frotte, non v’è certezza: Salt ci nega ogni tipo di catarsi finale, ogni rappacificazione e ogni consolazione (che ci sembrava come minimo dovuta in cambio di due ore di atletica post-einsteiniana). In questa sua radicalità (quasi si dedicasse scientemente e con ideologica precisione alla purezza action senza contaminarsi con ottimismi conciliatori), Salt spiazza un tantino, senza che ciò riesca davvero – però – a riscattare un impianto che rimane per scelta nell’ambito striminzito del trip da luna park (cosa, però, rispettabilissima, se assicura quantomeno il minimo promesso: e Salt lo fa e diverte abbastanza).
Del ricchissimo ed efficace concerto ritmico (voli, fughe, scontri, colpi, spari, tagli, squarci, uso intelligente e muscolare delle più basilari regole di montaggio e della fotografia) rimane, oltre il sollazzo momentaneo un poco stupidino, una lezione contro la superbia di certi autori dei nostri giorni e il facile entusiasmo di certi loro spettatori: il buon Christopher Nolan, per dire, dovrebbe mettersi di buzzo buono e sorbirsi Noyce; imparerebbe che non basta riempire il vuoto con delle mitragliette infinite (e delle corse infinite; e delle folle infinite - di gente che corre armata di mitragliette) per fare azione. Ci vuole un po’ di movimento vero; va bene anche se non troppo intelligente (e, alle volte, se non si hanno idee migliori, è pure meglio).
Lo sceneggiatore Kurt Wimmer ama l’action–thriller con venature fantascientifiche e, qui, inventa per Angelina Jolie la figura di un agente segreto contro tutto e tutti, a rischio di inverosimiglianza totale, con sviluppi troppisti fra attentati ai presidenti e guerra atomica. Per fortuna, alla regia viene insediato Phillip Noyce che, a Hollywood, fra pellicole fumettistiche o d’azione (Il Santo, Furia Cieca), aveva infangato una più impegnata (soprattutto politicamente) carriera iniziata in Australia e, questa volta, cambia marcia: tiene come numi tutelari, da un lato, la fantapolitica imbevuta di (fobia da) Guerra Fredda degli anni sessanta (Sette Giorni a Maggio) e, dall’altro, il thriller politico del singolo contro il Sistema degli anni settanta, alla Sydney Pollack per intendersi, autore che Noyce richiamava anche nel migliore prodotto “mainstream” che firmò negli anni novanta (Sotto il Segno del Pericolo). Nelle copiose scene d’azione o di combattimento corpo a corpo (con Angelina Jolie che stende tutti con le arti marziali Krav Maga e Muay Thay) mantiene un profilo basso, non carica la scena con sentori epici, effetti speciali per superomismo o inquadrature sopra-naturali: mostra la fatica e il dolore del combattente, per quanto, in sé, l’effetto delle sue mosse sia spettacolare, cioè iperbolico (per rendere tutto ancor più credibile, Angelina Jolie ha evitato il più possibile la controfigura). Bandita anche l’autoironia che avrebbe riportato nel negozio di giocattoli: si fa sul serio, si cerca il realismo (per quanto possibile) e ciò rende più eccitanti ed imprevedibili i risvolti di un racconto fra I Ragazzi Venuti dal Brasile e Nikita - Spie Senza Volto.