TRAMA
Sono passati sette anni dalla morte di Donnie Darko e sua sorella Samantha è in viaggio con la sua amica Corey…
RECENSIONI
L’ipotesi nobile (si fa per dire) è che questo film nasca come cosciente tentativo di partorire un mostro, e il titolo sembra quasi suggerirlo: se Donnie Darko è stato un cult, questo S. Darko potrebbe costituire un esperimento consapevole volto a creare uno s.cult in laboratorio. Le premesse, a ben guardare, ci sono tutte, a cominciare dal fatto che non c’era nessun presupposto plausibile per creare un sequel del film di Kelly e che Kelly con questo S. Darko non ha niente a che fare (ed anzi si è detto contrario al progetto). Questo sulla carta, perché la visione ci dice altro: ci dice di un film a bassissimo budget (elemento determinante, stanti le conclusioni) che vuole solo ricalcare l’impronta del predecessore per sfruttarne il potenziale commerciale, stante la devozione di cui quest’ultimo è stato (ed è) oggetto, un goffo tentativo di riutilizzo di meccanismi e situazioni dell’opera originale riproposti in altro ambito, capovolgendo le già sbiadite aspettative (Samantha Darko non replica il personaggio del fratello ma assume quelle di Franck, mentre Iraq Jack impersona l’omologo di Donnie). Dunque del primo film si riprende il lato onirico e vagamente lynchiano e lo si appiccica a una storiella in cui il mondo sta di nuovo per finire, si riparla di apocalissi piccole e grandi e disagio generazionale, il tempo si riaccartoccia e lo sceneggiatore si diverte a scarabocchiare sui topoi darkiani con una sciatteria talmente disinvolta da apparire quasi ammirevole. Si potrebbe fare l’elenco dei motivi della prima versione che vengono ripresi e variati nella presente e sarebbe l’unico sfizio (?) che riscatterebbe le mie quasi due ore di ammorbante noia, ma cui prodest? Uscito in U.S.A. direttamente in DVD, si è rivelata operazione in attivo. Capito?
Seguito, non autorizzato da Richard Kelly, del suo Donnie Darko (una questione di diritti persi), uscito in patria direttamente in homevideo e in Italia al cinema, tendenzialmente massacrato dalla critica. Invece quella dello sceneggiatore (Nathan Atkins) e del regista non è mera porcata a scopo commerciale, ma tentativo di riprodurre segni e stilemi (al limite del copia-e-incolla) di quella perla originale, senza riuscire, purtroppo, a replicarne anche la profondità di prospettiva. Nonostante gli eventi bizzarri e la situazione da Twin Peaks (gli abitanti del paese ritratti in grottesco sarcastico) che denuda i debiti di Kelly con il mentore incubal/onirico David Lynch, il tutto diventa schematico e noioso. Samantha (una deliziosa Daveigh Chase) attraversa, con qualche rewind nel Tempo, un percorso troppo lineare ed annunciato per essere intrigante, in cui mancano le ellissi illuminanti di Kelly, quel suo esoterismo non costretto in una razionalità (fanta)scientifica (forse Fisher si rifà alla versione 2 di Donnie Darko, più “spiegata”). L’opera si chiude in modo insoddisfacente, con un viaggio a ritroso in cui si perde il senso dell’operazione, la sua etica sottesa, nel momento in cui la protagonista scappa e Fisher mostra l’evoluzione degli eventi in modo differente ma non sorprendente. Il puzzle non si ricompone, nemmeno in modo evocativo, perché non c’è mai stato un puzzle da ricomporre, solo schegge giustapposte in una linearità dissimulata. E i morti (i bambini) saranno morti: agli autori pare sfuggire qualcosa. La morte del reduce li salverà? Prete e accolita non hanno colpe? Risolto male. A rendere l’operazione di Fisher accettabile è l’intenzione onesta e volenterosa, il riuscire a creare la giusta atmosfera con niente, sparando, come Kelly, le musiche nei momenti opportuni, incantandosi in empatia con il male di vivere adolescenziale (Fisher ha dichiarato l’influenza di Belli e Dannati), riportando in campo tutte le “darkate” del film che imita (oltre a quelle citate, i lombrichi liquidi che escono dai corpi, i misteriosi oggetti dal cielo, il coniglio mostruoso, il countdown alla fine del Mondo, il prete come il guru di Patrick Swayze) ma senza quel punto di vista sul Mondo che in Kelly faceva da pilota automatico nella surrealtà, per rendere tutto più composito ed affascinante. Astruso più che stupefacente, mancato più che sbagliato.