TRAMA
Tre prostitute rievocano la storia di Petit Louis: nato in un bordello, decide di prendersi cura della giovane Marion, ultima arrivata nel casino, impegnandosi a concretizzare i desideri di lei: realizzarsi e trovare l’uomo della sua vita.
RECENSIONI
Come una versione al maschile di Amelie Poulain, Petit Louis cerca di costruire la felicità dell'amatissima Marion, fiore che sboccia in un bordello disegnato come ambiente romantico, luogo di solidarietà e sentimenti genuini, alla vigilia della chiusura dei casini, nella Francia del 1945. Il regista mantiene tutto su un piano favolistico, abbondando in lirismo, ricorrendo a personaggiparadigma animati dal più classico amour fou. Sembrano lontanissimi i tempi de L'INSOLITO CASO DI MR HIRE o de IL MARITO DELLA PARRUCCHIERA: la delicatezza di allora si è convertita in stucchevole maniera; Leconte le prova tutte, cambia registro visivo, evita di forza le soluzioni più convenzionali, vira - solarizzandoli - i flashback più struggenti, cerca di mantenere il suo discorso (che diventa stilizzazione dolciastra) su un piano squisitamente cinematografico. Dunque agisce muovendo di continuo la macchina da presa, predilige immagini eleganti che, laccatissime e fredde come il ghiaccio, viaggiano sul pericoloso confine dello spot; in questo senso la scelta di Laetitia Casta ha un preciso valore iconico e c'è da giurare che Leconte con l'estetica pubblicitaria ci giochi alquanto ma, purtroppo, senza ironia alcuna: quel linguaggio non viene adeguato al mezzo - questo è un film, perbacco! - ma utilizzato pedissequamente e senza alcuna originalità. L'esercizio risulta dunque vuoto e noioso per quanto non brutto da guardare, ponendosi come sottile variazione de LA RAGAZZA SUL PONTE (se quello era un film Campari questo è un film Cinzano, non a caso entrambi frutto della penna di Serge Frydman). Non aiuta la storia, di superficialità così spudorata da suonare programmatica (senza che tale coscienza, se c'è, assolva in alcun modo la vacuità del film). Peccato, l'occhio, tutt'altro che disprezzabile, di Leconte meriterebbe di cimentarsi con qualcosa di più convincente di questi raccontini nostalgici, con patina demodé (in questo senso il precedente L'AMORE CHE NON MUORE era decisamente più riuscito) anziché soccombere alle ragioni di un calligrafismo degno di miglior causa quando non irritante.
