Drammatico, Storico

ROYAL AFFAIR

Titolo OriginaleEn kongelig affære/ A Royal Affair
NazioneDanimarca/ Germania/ Svezia/ Repubblica ceca
Anno Produzione2012
Durata128'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Nella Danimarca del diciottesimo secolo il re folle Christian VII dà sfogo alle proprie intemperanze facendo mancare la sua guida alla nazione e rendendo infelice la consorte inglese Caroline Mathilda. Fino all’arrivo a corte del medico tedesco Struensee, che conquisterà entrambi.

RECENSIONI

A Royal Affair porta sullo schermo cinematografico una storia nota solo ai danesi più studiosi in quanto vicenda storica reale, ma ben più celebre grazie alle testimonianze letterarie, prima fra tutte l'ancora fresco successo del romanzo Il medico di corte di Per Olov Enquist.
Già carica di candidature e riconoscimenti a Berlino 2012 - miglior attore Mikkel Følsgaard e migliore sceneggiatura - la coproduzione internazionale rivela da subito un grande sforzo di ricostruzione storica ed una mobilitazione di professionalità che non lasciano indifferenti.
La messa in scena di Arcel è rigorosa, eppure il regista si impegna a scansare il rischio della riproduzione fredda indugiando accuratamente su volti e sguardi dei protagonisti, misurando con accortezza i tempi per garantire il giusto respiro agli eventi che maturano sullo schermo.
La pellicola racconta al tempo stesso la corte danese del 1700, la lotta per l'ardua affermazione dell'Illuminismo ed un triangolo amoroso inevitabilmente tragico.
La visione è però appesantita da troppe situazioni già viste e di prevedibile esito: la futura regina catapultata senza preparazione né possibilità di scelta in una corte soffocante ed estranea, proprietà di un marito sconosciuto ed incapace di comprenderla; l'ennesimo sovrano folle; la vita di corte con i suoi obblighi insensati ed i suoi meschini giochi di potere; la nascita di un amore clandestino a compensare la frustrazione di un matrimonio inesistente; la scoperta della relazione con le sue conseguenze dirompenti.

Tutto già visto, duole ammetterlo, e nonostante le buone intenzioni è difficile appassionarsi e non cedere alla noia alle prime avvisaglie di quel che la storia riserverà.
Rimane per fortuna lo strano rapporto di amicizia tra il re ed il suo medico-consigliere, figura illuminata che con sobrio carisma trova la strada per la fiducia, e l'affetto, del sovrano, fino a manipolarne completamente la volontà a fin di bene. Nel triangolo involontario tra il medico illuminista e la real consorte trascurata - caratteri tutto sommato monodimensionali - il personaggio più vibrante è proprio il re pazzo Christian VII. Squilibrato, fragile, infantile, a tratti sorprendente.
Più degli inevitabili sussulti di un consiglio dei ministri ancorato saldamente al passato ed ai propri privilegi, incuriosiscono i barlumi di un illuminismo non francese in un contesto ancora sorprendentemente oscuro. Così il medico introduce in sordina, con la compiacenza del re, l'idea delle vaccinazioni per il popolo, della costruzione di fognature, dell'abolizione della tortura.
Lampi di speranza prematura che la pellicola spegne poco a poco con la dovuta spietatezza, fino all'efficacissima, dolorosa, sequenza finale.
Per A Royal Affair si può quindi parlare di un compito saggiamente e volenterosamente portato a termine, ma suo malgrado incapace di sorprendere.
Notevole la resa di tutti gli interpreti, tra i quali uno degli attori del momento, Mads Mikkelsen de Il sospetto, addirittura fresco Hannibal Lecter per la tv.

S'immagina la casa di produzione di Lars von Trier, nel bene o nel male, impegnata in opere controcorrente o iconoclaste: sorprende, quindi, il suo zampino in questo eccellente ma (quasi) del tutto “accademico” (inquadrato nella tradizione) film storico/in costume con intrigo di Corte, non per niente candidato agli Oscar come rappresentante del paese. Nikolaj Arcel ed il fido collaboratore alla sceneggiatura Rasmus Heisterberg prendono le mosse da un romanzo di Bodil Steensen-Leth e, senza mezzi kolossali, sfruttano location originali (i palazzi storici, stile Orgoglio e Pregiudizio di Joe Wright) e, anche inopinatamente, figuranti/totali di massa digitali. Portano al cinema un racconto appassionante, molto amaro, sorta di “La morte di Artù” di Thomas Malory (prontamente citato) applicato ad un brano storico adornato, non a caso, di versi dall’Amleto di Shakespeare, per spiegare come la Danimarca, da faro delle riforme illuministiche, ripiombò nel medioevo. Illustrano anche come, se tracciata, la verità possa influire sugli eventi futuri (il memoriale, a beneficio dei figli perduti, di Caroline Mathilde), quando le menzogne di Stato decidono il corso della Storia e, paradossalmente, armano il popolo contro l’unico personaggio che s’è adoperato per migliorare le sue condizioni. Arcel sa trasformare l’opera, come Shakespeare insegna, in una tragedia emblematica, dove l’amore, più forte della salvezza del mondo, non si arresta nemmeno di fronte ad un vaticinio di disgrazia. La differenza la fa proprio la sua regia, sia nella direzione degli interpreti e nella costruzione dei loro personaggi (non facile quello di Mikkel Boe Følsgaard, in bilico fra sanità e follia), sia nell’affidarsi a dettagli eleganti e sobri che evitano l’ovvietà di scrittura, la scorciatoia convenzionale, l’ingessatura tipica di un genere che tende all’abito preconfezionato.