TRAMA
Il caldo aumenta: la cometa di Halley è vicina alla Terra. I giovani muoiono per un virus che si trasmette quando si fa l’amore senza amore. Marc vuole rubare l’antidoto e chiede l’aiuto di un abile scassinatore che s’innamora della sua compagna.
RECENSIONI
Nasce un giovanissimo talento, “atrocemente” precoce, come recita il buffo protagonista di Denis Lavant, faccia da fumetto ad immagine e somiglianza dell’opera (fra gli interpreti, anche Hugo Pratt). Léos Carax è anticlassicista, post-moderno e ridondante nelle composizioni visive: non una singola inquadratura o sequenza di montaggio (sonoro e per immagini) deve essere convenzionale. Il modo di raccontare, per stare al passo, è affabulato e grottesco, gotico e fortemente simbolista. Se la trasgressione dei codici cinematografici è godardiana (ossessivo l’uso di piani alle spalle degli attori), lo straniamento che ne consegue non va, sorprendentemente, a discapito di intensità ed emozioni, perché Carax inietta una potente vena poetica e romantica nel racconto, solletica l’intelletto con le invenzioni e l’originalità ma apre le porte al “cuore” con la sostanza, i messaggi liricamente elaborati, i primi piani sui volti, la commistione di musica e immagini. La sua macchina da presa è sguardo bizzarro ed appassionante, la sua favola nera è collocata in un mondo magico, cupo e misterioso, con futuro prossimo inquietante, fra cometa che “brucia” Gaia e virus aidsiano che punisce il sesso senza amore (il cinema d’autore intellettualistico e distaccato?), dove il protagonista, con voce da ventriloquo insieme spettrale e maestosa, attraversa un musical: da antologia il lungo carrello laterale su Lavant che balla “Modern love” di David Bowie e la grazia musicale del bambino che corre incontro alla mamma e viene sostituito sempre da Lavant (che cita Cantando Sotto la Pioggia quando s’appende al telefono anziché al lampione). Un tripudio di immagini e punti di inquadratura insoliti (da sopra il paracadute), un affascinante meltin’ pot di trucchi (la moviola, lo specchio che deforma i visi durante la scazzottata, le immagini sfocate), un’insolita espressività sonora (per sottolineare il “silenzio”, quando Lavant è al telefono con Juliette Binoche, il “controcampo” su lei è muto), scenografie urbane da studio che immergono in una sublime simulazione visionaria, onirica e decadente, come a ricreare il cinema della Hollywood d’oro, un magistrale uso di ombre e colori (rosso dominante) che richiama l’espressionismo tedesco. Citazioni dirette (un altro avanguardista con “cuore”, Jean Cocteau) e indirette (un brano musicale di Charlie Chaplin), piani sequenza, gag assurde (gli uomini a petto nudo), sketch da comica muta (oltre all’insert in bianco e nero senza sonoro, c’è un vero e proprio “torte in faccia” con schiuma da barba e tagli di rasoio), il male di vivere giovanile, gli amori impossibili, le marcate simbologie (i “salti nel vuoto” con il paracadute, la magnifica scena in cui Julie Delpy cammina “spalla a spalla” con un Lavant cui cade una lacrima, Lavant che si sdraia accanto alla sagoma lasciata sul sofà da Binoche). Tutt’altro discorso, invece, per il racconto in sé che è da B-movie, quindi mero pretesto: Carax, purtroppo, si affida inopinatamente ad ellissi inutili per restituirlo, sovrastandone la (non) complessità anziché chiudere in modo più popolare ciò che ha “da dire” e lasciare le avarie allusioni di senso al resto.