Commedia, Recensione

ROMANZO POPOLARE

NazioneItalia
Anno Produzione1974
Genere
Durata105’

TRAMA

A Cologno Monzese, in provincia di Milano, un operaio e sindacalista di mezz’età sposa una sedicenne avellinese che gli mette le corna: lui, però, è un uomo “civile” degli anni settanta e….

RECENSIONI

Maestro del tragicomico e dell’ironia amara, Mario Monicelli restituisce un altro spaccato dell’Italia popolana e dialettale con uno sguardo alle problematiche sociali e di costume, anche se, in questo caso, ammicca oltremodo all’attualità degli anni settanta, perdendo l’occasione di comporre un’allegoria universale. S’impegna anche nel sondare, oltre il genere commedia, le differenze fra Sud “impulsivo” e Nord “civile” (di Monicelli l’idea del sindacalista milanese), fra uomo e donna, fra crisi di mezz’età del maschio e giovinezza rubata alla femmina sedicenne con, sullo sfondo, gli immancabili (per il periodo e per lo schierato Monicelli) movimenti operai di piazza sotto l’egida del Partito Comunista (anche immagini di repertorio). L’opera colpisce per la sua forma libera e inventiva, fra onirismi e un protagonista-narratore che ri-vede con lo spettatore il film alla moviola: se qualcosa non ingrana è perché, dopo riavvolgimenti e fermi immagine, lo svolgimento appare prevedibile. Strepitosa, però, la prova di Ugo Tognazzi, servito a puntino dai dialoghi in dialetto milanese “sportivo” di Beppe Viola (interpreta la maschera al cinema) ed Enzo Jannacci (che musica e canta “Vincenzina”, in onore della perennemente ignuda e acerba Ornella Muti), e tormentato dalle confessioni della moglie in vista di una grande lezione di civiltà per l’uomo del 2000, affrancato da gelosia e violenze. Il film potrebbe insegnare, con sana ferocia masochista, a comprendere e ridere di certi drammi (la gag della canzone di sottofondo durante l’adulterio: “Sono una donna non sono una santa”) ma sceglie la carta, più cinica e scontata, della condanna dell’ipocrisia nel predicare bene e razzolare male, con l’immagine pubblica più importante di quella privata. Paradossalmente, poi, rischia di annullare l’efficacia del suo apologo per ansia di modernità progressista ed eccesso di messaggi (quello finale “inneggia” alla donna “libera” e lavoratrice).