TRAMA
Rodney, giovane robot figlio di un lavapiatti, decide di partire alla volta di Robot City per intraprendere la carriera di inventore, mosso dal desiderio di emulazione per il suo idolo Bigweld. Al suo arrivo stringe amicizia con una combriccola di squinternati ferri vecchi che rischiano la demolizione: con loro al suo fianco Rodney si opporrà al progetto di un’azienda spietata che vorrebbe condannare alla rottamazione i vecchi robot per vendere nuovi costosissimi pezzi di ricambio.
RECENSIONI
La 20th Century Fox, in attesa dell’uscita del secondo capitolo de “L’era glaciale”, lancia nell’inflazionatissimo mercato dell’animazione questa simpatica sinfonia del metallo, variazione sul tema dell’immaginario futuristico adagiata su di una trama “tipica” (il racconto di formazione) ma dagli insospettabili risvolti politici (per quanto rudimentale si tratta pur sempre di un momento di lotta di classe, una scanzonata barricata innalzata contro l’avanzamento della tecnologia al servizio del capitalismo). A livello visivo è la lotta del vivace design anni ’50, riscaldato da forme eccessive e colori pastello, contro l’asetticità disumanizzata e impersonale delle nuove, futuristiche leghe metalliche. “Robots” mette in scena uno scontro visualizzando un sontuoso meccanismo a orologeria dall’innegabile fascino visivo, costruito su di una serie di incastri, di contatti tra superfici, di continui scivolamenti e attriti, un percorso intricato e macchinico il cui compito è quello di sostituire all’esile trama un marchingegno estetico della narrazione. Il film sembra possedere in sostanza la struttura (a un livello qualitativo più basso) di quei due folgoranti momenti di virtuosismo che sono il viaggio lungo il Metal Express e la delirante suggestione escheriana del domino in casa di Bigweld. Ciò che caratterizza questo prodotto di animazione è la natura fisica dei suoi oggetti forgiati nel metallo, corpi che si muovono in funzione del contatto e del respingimento tra superfici solide (biglie rotolanti lungo binari di metallo, rugginosi tubi di ferro che si scontrano, bulloni che si avvitano…), in aperta contrapposizione con la struttura liquida delle produzioni Pixar, la cui materia è invece percettibile al suo massimo grado di purezza nelle inquadrature acquatiche (anche e soprattutto nell’ultimo “Gli incredibili”), nella compenetrazione e fusione di un corpo nell’altro, come se il mondo fosse costituito di un unico grado di solidità a cui è affidata la rappresentazione di tutti e tre gli stati della materia.
