Drammatico, Recensione

RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA

Titolo OriginaleUmi yori mo mada fukaku
NazioneGiappone
Anno Produzione2016
Durata117'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia
Musiche

TRAMA

Fino a ieri Ryoto aveva tutto: una consorte, un figlio e un altro romanzo da scrivere dopo aver vinto un premio letterario prestigioso. Poi qualcosa è andato storto, Kyoko gli ha chiesto il divorzio, Shingo lo vede soltanto una volta al mese, il romanzo è rimasto un’intenzione. Per pagare l’assegno mensile alla ex moglie, lavora per un’agenzia investigativa, per dimenticare le indagini ordinarie gioca alle corse, alla lotteria, a qualsiasi cosa possa restituirgli quello che ha perduto. Ma la vita è più complicata di così, bugie, tradimenti, meschinità gli hanno alienato la fiducia degli affetti. Kyoto gira a vuoto e fatica a trovare il suo posto nel mondo e in quello di suo figlio. Poi una sera un ciclone si abbatte su Tokyo e sulla sua famiglia che trova riparo a casa della madre, felice di averli di nuovo tutti e tre insieme. La notte porterà consiglio e Kyoto proverà a riguadagnare la fiducia di Shingo e a ‘scommettere’ questa volta sull’amore. Il vento si placa e una mattina tersa si prepara.

RECENSIONI

Come già successo in Little Sister anche per Ritratto di famiglia con tempesta Hirokazu Kore-eda decide di non ricorrere a quelle acutezze d'intreccio che avevano reso grandi altri suoi lavori quali Air Doll e Father and Son. È di nuovo il quotidiano, la piccola avventura spudorata e assoluta della vita, in tutta la sua complessa e stratificata banalità, a farsi racconto: qui, nello specifico, quella di un uomo, Ryota, che dopo aver dilapidato, in leggerezza, il proprio capitale umano (preferisce sfuggire alla controprova di un promettente esordio letterario nel timore, taciuto, che venga messo in discussione il suo presunto talento scrittorio) e affettivo (difronte all'irresponsabilità del coniuge la moglie, portando con sé il figlio, sta cercando di costruirsi una nuova relazione) tenta di riconquistare tutto quello che ha perso. Rispetto a Little Sister a cambiare è il registro espressivo: i toni non sono più drammatici; a prevalere in Ritratto di famiglia con tempesta è una la leggerezza tragicomica, che relativizza e tempera i fallimenti, i drammi familiari, e assolve le piccolezze e le meschinità umane. È un progetto, questo, che ha punti di dialogo con Paterson: quanto dichiarato da Jim Jarmusch, in merito al proprio lavoro, ben si adatta a descrivere anche l'ultima regia di Kore-eda («è una storia tranquilla i cui personaggi principali non vivono conflitti tangibili o drammatici. [...] Si tratta di un film che dovremmo lasciarci scivolare addosso – che - vuole rendere omaggio a ciò che di poetico esiste nei piccoli dettagli […], e […] si propone come antidoto al cinema cupo, drammatico o incentrato sull'azione»). In entrambi i casi registriamo un'apparente levità che si ispessisce nel farsi della visione; Ryota, esattamente come i personaggi di Jarmusch, è una persona che continua a comportarsi come un impenitente adolescente, oltre i consentiti limiti d'età; un individuo prigioniero di sé stesso, di un'indolenza, che è conseguenza della frustrazione, elevata a stile di vita. Kore-eda, tanto quanto il collega (tutti e due adoperano le sequenze a mo’ di proverbiali locuzioni secche e coincise), è noto per il minimalismo del suo stile registico (più volte, infatti, è stato apparentato con Ozu): minimalismo che va inteso nei termini proposti da Christopher Lasch, e cioè come “riduzione della prospettiva” quale strategia che l'arte può adottare per sopravvivere. Qui, però, nel suo rimanere concentrato sui piccoli eventi e sugli scorci di vite alza troppo lo sguardo (cosa che del resto accade anche in Paterson) a considerazioni di tipo massimalista, dal tono universale, sovraccariche di messaggi “assoluti”, che alla fine risuonano (in netto contrasto rispetto all'impianto in cui sono inserite) enfatiche, declamatorie («Sarai davvero un uomo, solo quando accetterai di essere il passato di qualcuno»). L'impressione, alla fine, è che Kore-eda lavori di mestiere, tanto da far sorgere il sospetto di un compiaciuto manierismo, quasi avesse voluto programmaticamente realizzare un compendio della propria idea di cinema.