
TRAMA
Dato per morto per diciassette anni, il pilota Jake torna in patria: i Servizi Segreti gli raccomandano di non farsi riconoscere ma ritrova la moglie e scopre che si è risposata. Anche lui, però, ha moglie e figli in Cambogia.
RECENSIONI
Franklin J. Schaffner (morto prima dell'uscita del film) ci lascia con l'ennesima figura di "guerriero", alle prese con un dilemma morale, ambiguo perché segnato da ombre ma anche vittima di un sistema sociale iniquo, della barbarie della guerra, delle incomprensioni nei rapporti interpersonali. Il messaggio finale, comunque, è di speranza e rispetto. Un Tornando a Casa che preferisce dare risalto al melodramma familiare, ai conflitti psicologici, al dolore che un morto resuscitato può arrecare ai cari rimasti vivi, piuttosto che inseguire la polemica politica. Meglio così, poiché la parte sul complotto governativo sta poco in piedi (perché, ad esempio, se i Servizi Segreti sono così preoccupati che si venga a sapere della sua esistenza, lasciano libero il protagonista di scorrazzare fra parenti e luoghi d’infanzia?). Anche l'ambiguità del protagonista (un codardo, un uomo senza nerbo o necessaria rabbia?) è, probabilmente, più figlia di buchi esplicativi che voluta (non è molto credibile, ad esempio, la sua spiegazione sul perché si sia risposato pur agognando il ritorno a casa) e Schaffner tira via su brani che potevano essere emotivamente molto intensi (la sorpresa del padre dov'è?). Ciò non toglie che la pellicola sappia essere toccante a ogni "rincontro" (con Brian Keith, con JoBeth Williams, con i figli cambogiani) e in un momento come quello in cui JoBeth Williams si lascia cullare dai ricordi sulle note di Your song di Elton John. Appassiona anche come psicodramma teatral/terapeutico messo in moto (e in scena) da un fattore scatenante, grazie a interpreti capaci e a caratteri che, commettendo tutti quanti degli errori, sono più umani, veri, autoescludendosi da un immaginario epico o simbolico. La parte ambientata in Oriente è stata girata in Malesia, la title-track è di Willie Nelson.
