Ritorno a casa

Dopo tanti anni in cui è stato confinato nella placida periferia romagnola, il festival è tornato dove tutto è cominciato, al cinema Corso, nel centro della città di Ravenna. In una location, tra l’altro, piuttosto suggestiva, perché incastonata tra la basilica di Sant’Apollinare Nuovo e il Palazzo di Teodorico, dove sono quindi tangibili i segni della Storia. I vantaggi dello spostamento sono stati principalmente nell’aver ridato all’evento una dimensione cittadina che la collocazione presso il multiplex Cinemacity aveva totalmente cancellato. Si poteva arrivare per il festival senza mettere piede in città, mentre per raggiungere il cinema Corso è necessario passeggiare anche per Ravenna e il suo centro storico. Opportunità ghiotta, perciò, di unire la passione cinefila con la scoperta di un tessuto urbano di provincia. Può sembrare un di più, un elemento non necessario, con poco a che spartire con il cinema, invece questo aspetto concorre a creare un’atmosfera importante per godere appieno non tanto di un singolo film, ma di una manifestazione nel suo complesso. Con anche un’anima e un’identità precisa, quindi. Il pubblico sembra avere risposto con la consueta passione, affollando la sala fin dalle proiezioni pomeridiane. Quest’anno un giorno in più, approfittando forse anche di una collocazione particolarmente propizia della festività del 1° novembre, e un programma piuttosto nutrito di appuntamenti. La manifestazione – curata dal Direttore Artistico Franco Calandrini per St/Art, con la direzione Organizzativa di Alberto Achilli per l’Ufficio Attività Cinematografiche del Comune di Ravenna, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna e della Regione Emilia-Romagna, col sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con il contributo di EniPower e con Media Partner ufficiale Horror Channel – continua quindi a essere un punto di riferimento importante per fedelissimi, appassionati e curiosi.
Il cuore del festival è stato ancora una volta il Concorso Internazionale per Lungometraggi,  con dodici opere da varie parti del mondo decise a sondare i limiti del perturbante. Perché il festival, occorre ricordarlo, non è concentrato solo sull’horror in senso stretto, ma su tutte le declinazioni dell’incubo, su quel sentimento, cioè, familiare ma al contempo estraneo che sopravviene quando un insieme di fotogrammi riesce a far emergere un non sempre identificabile senso di angoscia. A sfidarsi, in questa edizione, due i titoli dalla Spagna: l’aggressivo Secuestrados, di Miguel Ángel Vivas, su un nucleo familiare preso in ostaggio per quella che sembra una veloce rapina in una casa borghese e sfocia invece in un massacro, ed Exorcismus, di Manuel Carballo, che batte bandiera spagnola ma vanta cast e location inglesi ed è incentrato su un caso di possessione demoniaca. Due anche i film arrivati dal Canada, lo sperimentale Hellacious Acres – The case of John Glass di Pat Tremblay, bizzarro tentativo di personalizzare la fantascienza apocalittica, e Skew, opera prima di Sevé Schelenz, dove il viaggio di un gruppo di ragazzi evolve in paranoia. La Gran Bretagna è stata presente con il curioso The Devil's Business, di Sean Hogan, in cui due killer sottovalutano la vittima del loro appostamento, e il film a episodi Little Deaths, piccola antologia del terrore sul doppio tema Sesso / Morte con cui si confrontano ancora Sean Hogan, Andrew Parkinson (regista dell’interessante Venus Drowning) e il talentuoso Simon Rumley (suo l’intenso Red, White and Blue vincitore di una menzione speciale nella passata edizione).
Ben tre le opere di provenienza americana: il discusso The Bunny Game di Adam Rehmeier, già avvolto da un’aura (meritata?) di culto a causa delle notizie circolanti in rete sul mix di sesso, violenza e sadismo nei confronti di una malcapitata prostituta cocainomane; l’interessante e impalpabile Absentia di Mike Flanagan, inno al perturbante per la sua capacità di alludere al terrore provocato da un mondo parallelo non poi così lontano, e l’ordinaria coproduzione con la Gran Bretagna The Caller, dell'inglese Matthew Parkhill, con un’atmosfera “ai confini della realtà” grazie a una misteriosa telefonata proveniente dal passato che scuote la mesta quotidianità di una sensibile ragazza fresca di divorzio. Dalla Germania, poi, l’apprezzato Masks di Andreas Marschall (già vincitore al RNFF 2004 con Tears of Kali), inquietante messa in scena del “teatro della crudeltà” di Artaud e Grotowski che è anche un omaggio esplicito ai maestri del cinema di genere italiano come Riccardo Freda, Mario Bava e Dario Argento. Dall’Australia, invece, il noir Crawl, del giovane esordiente Paul China, incentrato su una giovane ragazza presa in ostaggio da uno spietato killer croato. E per finire, il primo slasher israeliano, il beffardo Rabies, diretto da Aharon Keshales & Navot Papushado.
La giuria, composta dal critico cinematografico Stefano Coccia (già collaboratore in passato con la nostra rivista), dal giornalista spagnolo Miguel Parra e dal regista Edo Tagliavini, ha consegnato l’Anello d’Oro come Miglior Film a Secuestrados di Miguel Ángel Vivas “per la modernità del linguaggio cinematografico, da cui trae vigore un’intensa narrazione che mette in gioco le paure più recondite della famiglia borghese, come a rieditare le tensioni di Cane di Paglia o del più provocatorio Funny Games, un incubo moderno dalle conseguenze inaspettate, con ottimi attori e un elevato tasso di adrenalina”. Menzione Speciale al tedesco Masks, di Andreas Marschall, “per la padronanza registica di cui abbiamo particolarmente apprezzato la capacità di descrivere personaggi femminili tormentati e complessi, ruoli sostenuti poi da interpreti di straordinaria bravura, nonché per l’omaggio alle atmosfere e agli stilemi del cinema di genere italiano anni ’70, da Dario Argento a Mario Bava, da Aldo Lado a altri conclamati maestri dell’incubo”.
Oltre al concorso, altri eventi hanno animato la brama di tenebre del pubblico, a partire dall’omaggio a Romano Scavolini, ignoto probabilmente ai più, ma celebrato dai cultori del genere per Nightmare in a Damaged Brain, si vocifera il primo slasher al mondo. Curioso che la prima visione del film in Italia avvenga dopo trent’anni dalla produzione (1981), ma a quanto pare i distributori italiani non ottennero il permesso dal venditore americano di nascondere il nome del regista sotto uno pseudonimo anglofono. Il che ha finito per bloccare la circolazione del film che, invece, ebbe larga diffusione in altri paesi, anche se la sua vita commerciale fu di breve durata a causa del massacro operato dalla censura che, inevitabilmente, contribuì ad accrescerne la fama. Tre i film nella retrospettiva "Deliri d'autore", con tre registi solitamente dediti ad altre tematiche alle prese con il perturbante: Un tranquillo posto di campagna (1968) di  Elio Petri, L'australiano (1978) di Jerzy Skolimowsky e Le orme (1975) di Luigi Bazzoni. Una sorta di lato oscuro del cinema d’autore. E per finire qualche episodio, inedito in Italia, della quarta serie americana After Dark, un brand creato nel 2006 da Courtney Solomon come circuito alternativo di produzione e distribuzione cinematografica specializzato in genere horror.
Dopo alti e bassi degli anni passati un’edizione, quindi, decisamente riuscita con un menù piuttosto ricco in grado di accontentare palati inclini a incubi cinematografici di ogni tipo, evitando come al solito di confinare il nero in un unico colore ma cercando, e trovando, tutte le sue possibili sfumature. Un panorama tutt’altro che rassicurante, capace di scuotere, turbare, ma anche divertire, affascinare e far riflettere. Ciò che, al di là del genere affrontato, si continua a chiedere al cinema.