TRAMA
Per sfuggire alla miseria dovuta dalla siccità e soddisfare i bisogni della sua famiglia, Mocktar, un contadino nigeriano, decide di andare a lavorare per una stagione in una miniera d’oro del Burkina Faso. Le condizioni di lavoro sono spaventose e la vita della piccola comunità oscilla tra rassegnazione e ossessione per l’oro.
RECENSIONI
La “febbre dell’oro” africana
L'ambito è quello del cinema di denuncia. Questa volta, però, sotto l'occhio indiscreto della macchina da presa c'è un fenomeno di migrazione poco conosciuta: quella interna. Siamo abituati a sentire di africani alla ricerca di una vita migliore in Europa, invece il protagonista dell'opera di debutto di Laurent Salgues è un africano, che passa dalla Nigeria al Burkina Faso in cerca di fortuna nelle miniere d'oro. Le condizioni di lavoro sono disumane, la morte è sempre in agguato e la giornata passa per buona parte dentro cunicoli sotterranei a più di quaranta metri di profondità. Il film prende però le distanze dal documentario e si concentra su un uomo ancora in grado di scendere a patti con la propria dignità: dal suo primo giorno di lavoro, alla scoperta della prima pepita. Con una sceneggiatura di cui si percepisce la misura, alla larga dal sensazionale e dal pugno nello stomaco, ma non per questo meno incisiva nella denuncia. Anzi, finalmente un'opera che non cede alla tentazione del ricatto per smuovere le coscienze. Suggestiva la fotografia, giocata sul contrasto tra il bagliore accecante del paesaggio desertico e il buio dei cunicoli e delle notti stellate, mai estetizzante ma in grado di lasciare tracce di luce nella memoria.
