TRAMA
Anno 2084. Dopo un’invasione aliena che minaccia di distruggere la razza umana, una giovane ragazza di nome Milly viaggia a ritroso nel tempo e arriva nel 2002. Qui ingaggia Miyamoto, killer di professione, per aiutarla a impedire lo scoppio della guerra.
RECENSIONI
Lei viene dal futuro per correggere il passato ed evitare un conflitto globale. Vi dice qualcosa? In effetti lo spunto alla base di "Terminator" è identico. La ragazzina coinvolge nel tentativo di salvare l'umanità un assassino dal cuore d'oro assetato di vendetta. Anche questo vi dice qualcosa? Beh, le coppie mal assortite, perdipiù con trauma da rimuovere, rimpolpano pagine e pagine di copioni, ma "Leon" è un buon punto di partenza. Lui ha uno spolverino in pelle nera ("Matrix" era un concentrato di "lavori in pelle"), lei appare come una barbona ma trova il tempo di andare da un hair-stylist per migliorare il look (il brutto anatroccolo che diventa principessa, inutile citare le migliaia di titoli della stessa serie). I due devono salvare un piccolo extra-terrestre capitato sulla Terra e desideroso di tornare a casa ("E.T.", non solo nell'idea ma anche nella creatura, sputata a quella di Carlo Rambaldi) e dovranno sparare a destra e a manca fino all'uccisione del cattivo di turno, attraverso un'estetica visiva ormai consunta in cui il tempo sembra potersi fermare per consentire di ammirare la traiettoria degli elementi che vagano nell'aria. Ricercare i film saccheggiati dal brutto "Returner" può essere gioco divertente, ma diventa presto sconsolante. Purtroppo, infatti, la rimasticatura non gode di alcun nuovo rilievo ed è semplice indice di una totale assenza di fantasia: storia frusta, sceneggiatura scontata e noiosa, personaggi bidimensionali privi di interesse, effetti digitali a profusione poco entusiasmanti, ritmo blando, coerenza narrativa inesistente. Solo gli attori si salvano, ma la resa recitativa non basta a sollevare le sorti di un copione privo di sorprese, pieno zeppo di luoghi comuni e incerto sul taglio del racconto. Tanto che alla fine i teen-ager, probabili destinatari privilegiati, rischiano di annoiarsi quanto gli adulti.
La calura estiva gioca strani scherzi. “Returner” è un film del 2002 che arriva sui nostri schermi solo ora, nel bel mezzo dei saldi agostiani, e non si capisce come mai dal momento che il film ha una confezione di tutto rispetto: ottima fotografia, quintali di effetti speciali, regia movimentata e attori bellocci. La pellicola è una via di mezzo tra la fantascienza e il film d’azione, con massicce dosi di computer grafica, pirotecniche esplosioni, e alieni cattivissimi dotati di armi ipertecnologiche. Su di una nave ormeggiata al porto, lo spietato yakuza Mizoguchi (Goro Kisihitani) sta per concludere un nuovo affare vendendo un carico di clandestini, quando interviene Miyamoto (Takeshi Kaneshiro) a mettergli i bastoni tra le ruote. Nel conflitto a fuoco che segue il giovane killer nel tentativo di uccidere il boss spara accidentalmente a Milly (Ann Suzuki) che nel frattempo è stata catapultata indietro nel tempo proprio nel bel mezzo della sparatoria. Dopo aver fallito nel suo tentativo Miyamoto porta con sé Milly credendola ferita. Da qui in poi la storia segue le vicende dell’improbabile duo. Inizialmente il giovane e disincantato sicario non presta molta attenzione al racconto della ragazza ma dopo il ritrovamento dell’ufo decide di aiutare Milly nella sua missione. Nel frattempo veniamo a conoscenza che Mizoguchi vent’anni prima aveva rapito e ucciso il migliore amico di Miyamoto che per questo lo sta inseguendo per ucciderlo. Tra flashback nel passato del ragazzo e flashforward nella Terra devastata dall’attacco alieno, la storia prosegue con l’evolversi del rapporto tra i due protagonisti alle prese con sparatorie al limite del parossismo. La pellicola alterna le movimentate scene d’azione con pause di approfondimento dei personaggi. Il risultato è un film abbastanza lungo (2 ore) che cambia continuamente registro narrativo (comico, romantico, noir, visionario) e contenuto (dal film d’azione di Hong Kong, al fantastico dei matrix-movie, fino alla fantascienza postmoderna). Yamazaki è un ex character designer che in passato ha lavorato soprattutto nei manga (“Giant Robot”) e nei videogiochi (“Onimusha”) e si vede. “Returner” è molto affascinante sotto l’aspetto visivo, con un’ambientazione che fa propria la lezione del retroadattamento (mescolando asetticità e caos, avanzamento tecnologico e disfunzionamento cronico), e con un mecca design di tutto rispetto (notevoli le astronavi mutaforma degli alieni). Non sfigura nemmeno la caratterizzazione dei personaggi, a parte il gigionesco cattivo di turno, il protagonista è una sorta di clone del Keanu Reeves di Matrix ma con più ironia, mentre la brava Ann Suzuki è perfetta nella parte della ragazzina determinata e cocciuta. Yamazaki dimostra di avere una buona mano soprattutto nelle scene d’azione e in quelle ambientate nel futuro: non si limita a mettere in scena i propri personaggi, ma quando non è occupato a circumnavigarli con panoramiche mozzafiato, li immerge costantemente in una materia espressiva sovraccarica di senso. Una fotografia sufficientemente varia e l’uso massiccio di computer grafica (peraltro neanche brutta) conferiscono all’aspetto visivo il tipico look “sporco con patina di ruggine” che ha reso famoso Lawrence G. Paul (designer di “Blade Runner”).Il punto debole della pellicola rimane la storia: non c’è niente di veramente originale nel racconto e nelle soluzioni visive. Yamazaki pesca brutalmente dai maggiori successi contemporanei: il mix tra fantascienza e cinema di Hong Kong deriva direttamente dalla trilogia dei Wachowski, mentre le numerose scene d’azione citano apertamente i più grandi capolavori hollywoodiani di John Woo (“Face Off”, “M.I.2”). Quello che stupisce è che invece di andare alle fonti dei suoi riferimenti culturali, ovvero il cinema di Hong Kong e l’immaginario catastrofico giapponese, Yamazaki preferisce far passare la propria esperienza attraverso l’occhio omologante del cinema hollywoodiano. In questo modo le ottime premesse e i tanti spunti disseminati lungo il racconto si traducono in una messa in scena incapace di sublimare la citazione in estetica. Peccato perché c'erano tutte le carte in regola per realizzare un buon film di fantascienza.