TRAMA
Un gruppo di militari armati di tutto punto viene inviato nell’Alveare (The Hive), centro di sperimentazione chimico-farmaceutico segretissimo e sotterraneo, proprietà della Umbrella Corp. All’entrata del bunker raccolgono i due agenti della sicurezza, privi temporaneamente della memoria, ed un sedicente poliziotto. Dovranno fronteggiare la “follia” del computer Regina Rossa, orde di zombie ed altre simpatiche creature geneticamente modificate.
RECENSIONI
Alice nel paese del terrore, nello scantinato cementizio, alone (o quasi) in the dark. Riavvitando il normale canone della corsa contro il tempo piena di pericoli ed imprevisti Paul (W.S.) Anderson non si esime dall'innestare su questo schema di genere il nuovo canone della produzione seriale. Una corsa verso la fine, una fine che si aggrappa per essere, solo, un nuovo paragrafo. "Resident Evil 2: Nemesis"? Le riprese, si accomodino i signori, sono previste per inizio estate, autunno 2002. Le grandi saghe videoludiche continuano a geminare e attecchiscono, nell'ultimo biennio in particolare, anche in supporti che non consentono l'interattività. "Tomb Rider", "Dungeons & Dragons", "Final Fantasy" sono i diretti precursori sugli italici schermi, perché dunque parlare ora di "Resident Evil" (CAPCOM)? Nel 1993 "Super Mario Brothers" (Nintendo) è il primo film che narrativizza o meglio si appropria del patrimonio figurativo e strutturale di un videogioco, un platform imprescindibile e archetipico a quel tempo, vengono poi "Street Fighter" (da Nintendo), "Mortal Kombat" (SEGA) e relativo seguito, si delineano dei percorsi di sviluppo. Innanzi tutto la tendenza al verosimile nelle forme per lo più del recupero di topoi cinematografici - il genere avventuroso, fantascientifico, horrorifico - già però presenti nei progenitori con joypad, poi la tendenza ad espellere progressivamente il carattere propriamente ludico, giocoso, insomma l'obiettivo è immergere una griglia di creazione standard nel mondo fenomenico. Creare universi paralleli (teoria che, di comodo, usiamo in senso assai ampio) quasi sovrapponibili, fogli d'acetato, uno sull'altro. Ecco appunto Resident Evil (2002) con Milla Jovovich (Giovanna D'Arco, L'OREAL) ed altri alle prese con un labirinto sotterraneo collegato al mondo solo da un trenino, accerchiati da morti-che-camminano, sullo sfondo del monopolio di una casa farmaceutica, Umbrella (ci si ricorda la Antenna Research di eXistenZ), con un movimento di ribellione anonimo ed un computer intelligente con volto - e corpo, olografici - di bambina che impedisce la fuga ("Johnny Mnemonic" ad es.). Un frullato niente male, frutto tipico del sincretismo che vive nei videogames e nei prodotti d'animazione "tradizionali" dell'estremo oriente ma, qui, siamo in occidente e la faccenda si complica come ha mostrato il fallimento di FF, completamente digitale, numerico, ed estraneo nella "nostra" catena produttiva, oltre che al gusto, vero motivo che ci porta a conoscere R.E. Si tenta la via che pare portare al cinema: i generi si sono sempre mostrati duttili veicoli di contenuti (politici, sociali) e forme (luogo di individuazione dell'azione postmoderna ad esempio), l'horror per primo, figurarsi condito d'azione! Per continuare con i riferimenti passiamo attraverso il capolavoro di John McTiernan "Predator" o ancora "Hardware" di Richard Stanley. Il mondo di Paul W.S. Anderson, regista già del risibile Mortal Kombat, si forma in coaguli di conoscenze intertestuali, di suggestioni e scopiazzature. R.E era stato proposto, con incredibile scelta produttiva, a George A. Romero, autore dell'indimenticata/abile trilogia degli zombie (cfr. sezione festival: TorinoFilmFest 2001) che presto però rinuncia per dissensi con i committenti, rimangono tracce non indifferenti della sua influenza, soprattutto il terzo capitolo "Day of The Dead" viene citato pari pari nel finale e nei titoli di giornale. Dove ci troviamo dunque? In un macchinario che sopravvive a sé stesso in sola virtù dei collegamenti che ingenera: la promessa di un sequel, i nessi filmici di cui abbiamo citati i più evidenti, la soddisfazione del fan da console.
Per il resto si preme il pedale, fatti si susseguono a fatti, sguardi corrucciati a statiche inquadrature del sistema di sorveglianza, musiche e sonoro - la scuola di texture potrebbe essere quella dell'ultimo Carpenter ma c'e' Marilyn Manson - spremono vibrazioni da ogni oggetto si muova nel film nonché da ogni attesa che un oggetto si muova: montato con una monotonia disarmante con il susseguirsi di tagli cut-cut (taglio sincrono di suono e video) all'approssimarsi del pericolo; per intendersi il sonoro sale lentamente, si fa personaggio e il suo acme viene staccato netto su un cadavere che si muove improvvisamente, sulla spalla dell'eroe agguantata da un cadavere, etc. Encomio solenne per la pervicacia con cui viene attuato il programma, non ci sono cedimenti interni, certo anche perché non c'è alcun interno, ma la preziosità di un pop-corn movie come - giustamente - vorrebbe essere R.E. sta nel non pretendere la nebbia nel cervello dello spettatore che si sente nelle mani di un giocatore con l'unica intenzione di catapultarsi sul nuovo capitolo.

La migliore scena splatter è quella con l'Alien sul treno che viene preso per la lingua: stessa sorte per lo spettatore/playstationista (è centrato sul "cliente"), cui basta il nome di un videogioco famoso per accorrere al cinema e restare vittima del solito alveare/coacervo di cliché del fantahorror. Il titolo è solo di richiamo, potevano battezzarlo anche "Zombi 2000" (copiatissimi i morti viventi di Romero), "Hal 2001: Odissea nello Spazio" (il computer impazzito e le sue soggettive), "L'orrore di Tomb Raider" (videogioco per videogioco, eroina per eroina), "Species 3" (la bella Milla Jovovich, fidanzata del regista, emula rare guerriere cinematografiche come Sigourney Weaver ma ricorda di più Natasha Henstridge), "The Cube virale" (il laser ad affettatrice), "Relic 3D" (il mostro geneticamente modificato), "She-Matrix" (delle sue piroette il cinema hollywoodiano non può più fare a meno), e così via. Creature infernali a parte, solo la mappa e i mitici cani-zombi identificano il gioco originale (già poco originale): Anderson è uno specialista di orrori futuribili che ben assemblano idee altrui (Punto di non Ritorno) e di fedeli trasposizioni da console (Mortal Kombat: parimenti "vuoto" ed efficace), ma accantona i labirinti e segreti che connotavano il gioco-madre e rincorre la sola corsa contro il tempo, con un ingegnoso storyboard, arredi hi-tech misti (la Villa!), il metal industriale di Marilyn Manson e tensione da vendere. Il Male, però, è endemico, risiede e non sfugge ad una seconda parte in cui troppo grava la mancanza d'immaginazione e l'accumulo di stereotipi (il colpo di scena del traditore dà il colpo di grazia): lo spettatore è di nuovo vittima e soffoca, come i protagonisti, sotto il peso dei corpi voraci, pallide imitazioni dei "vivi". Come in un incubo, il finale torna al punto di partenza: "You die!", "Reset", "Insert CD-2".
