TRAMA
Il figlio di un generale della rivoluzione messicana farà giustizia del genocidio perpetrato da un aristocratico americano ai danni della sua famiglia e della sua gente.
RECENSIONI
Se in qualche modo osiamo considerare lo spaghetti-western (denominazione che almeno in sede critica dovremo prima o poi esser disposti ad abbandonare), al di là di certo avanguardismo legato ai nomi di Schifano, Ragghianti, Gioli etc., più a diretto contatto con la scena underground americanaper la verità che ai giovani fermenti del cinema francese, un po’come la nouvelle vague della cinematografia italiana lo facciamo perché di fatto dieci anni di copiosa produzione di film di questo genere hanno costituito un esteso e non sempre facilmente perimetrabile territorio di sperimentazione stilistica. All’interno di questa entropia produttiva entro la quale abbiamo assistito a tutti i tentativi di forzatura possibili nei riguardi della forma western, se non della forma tout court, il filone politico o terzomondista è decisamente quello che ha saputo significativamente farsi interprete di un contesto storico-sociale intriso di umori e istanze rivoluzionari, rappresentando attraverso la metafora del credo libertario dispiegata sugli aridi scenari messicani (in realtà villaggi desolati e sperduti dell’Almeria) una situazione di scottante attualità.
Anche Lizzani, come tanti altri autori impegnati del periodo, si misura, dopo aver già frequentato il genere con Un fiume di dollari, pellicola che ricordiamo giusto per qualche bella sequenza di espressionistica violenza e per la luminescente presenza di Nicoletta Machiavelli, con la variante politica del western. Requiescant (da non confondere con Mi chiamavano Requiescat…ma avevano sbagliato, di Mario Bianchi, tutt’altro film), pur non discostandosi troppo dai soliti cliché impiantati sul solito canovaccio del peone messicano che sobillato dal gringo di turno abbraccia armi e ideali rivoluzionari (Vamos a matar compañeros, Quien sabe?, Tepepa), presenta interessanti elementi di distinzione. Innanzitutto la composizione del cast che vede Mark Damon, solitamente eroe positivo, nella parte di un villain nevroticamente simbolico (l’aristocrazia terriera come anacronistico edificio da abbattere) e soprattutto la presenza di un fanoniano Pier Paolo Pasolini, che Lizzani aveva già utilizzato ne Il gobbo, e di un Lou Castel dotato della sua abituale lunarità capace di improvvise esplosioni di follia (oramai I pugni in tasca ne avevano decretato quel maledettismo compulsivo rabbiosamente tenero, tipico della sua attorialità), qui in perfetta equidistanza dal personaggio cinico e spregiudicato impersonato in Quien sabe? di Damiani e dal mesmerico lanciatore di boomerang di Matalo! di Canevari (una delle declinazioni più spiazzanti e sperimentali di tuuta la storia del western italiano e non), figure che insieme, il Don Juan pasoliniano nel pensiero e Requiescant nell’azione, tentano di coniugare la componente politica sinistrorsa con i suoi afflati di rivoluzione e il cristianesimo d’ispirazione pauperista, non è un caso infatti che i campesinos seguaci di Don Juan siano tratteggiati iconograficamente come una sorta di confraternita religiosa e lo stesso Requiescant, eroe suo malgrado che da stralunato cavaliere solitario, apparentemente estraneo alla narrazione entra con tutta l’incertezza di una Arriflex a spalla sempre più nel vivo della vicenda, è una contraddizione deambulante fatta di bibbia e di colt, di fondina e di cordone da saio francescano, di proiettili e preghiere che la sa molto più lunga di quanto non vorrebbe far credere, ma che fa ricorso alla violenza solo se costretto da necessità. E tutto il film si svolge come una calibrata, anche se non sempre rigorosa, meditazione in chiave antispettacolare (le sequenze più crude riguardano il funzionale incipit corale del massacro del pueblo messicano e la sfida etilico-balistica sulla pelle di una ragazza della servitù del perfido Ferguson) sulla violenza e il suo utilizzo finalizzato al raggiungimento dello scopo rivoluzionario, materiale concettuale molto in voga in quegli anni.