TRAMA
Anwar El-Ibrahimi, giovane padre di famiglia americano di origine egiziana (Omar Metwally, già visto in Munich) viene arrestato dalla CIA e torturato dai servizi segreti « nordafricani » ; in quanto chimico, è accusato di aver fornito a terroristi nordafricani, evidentemente islamisti, informazioni utili alla fabbricazione di un ordigno. La moglie, nel frattempo, patisce e partorisce…
RECENSIONI
Sponsorizzato da Amnesty International, Rendition costituisce l’ennesimo campione del filone « analisi delle responsabilità e delle giuste « risposte » dell’America ferita l’11 settembre ». A firmarlo, Gavin Hood, già responsabile dell’orrido Tsosti. Ispirandosi a fatti verosimili, restando nel vago circa la localizzazione dell’attentato, dove si svolge buona parte dell’azione (la didascalia segnala un generico « Nordafrica », come in un film colonialsta europeo degli anni ’30), Hood ed il suo sceneggiatore vorrebbero avvincere denunciando. Lodevole intento. Peccato che il montaggio ad incastro, rispondente ad una duplice logica, narrativa e simbolica (creare suspense intrecciando due livelli temporali e far dialogare « mondi » e culture, sottolineandone affinità, nel bene e nel male) non risolva un problema di fondo, che vizia la forma del contenuto : la sconcertante, piatta mediocrità della messa in scena e l’altrettanto disarmante prevedibilità del racconto, un concentrato di ovvietà di « genere » propinate senza quel minimale esercizio di riformulazione stilistica e riconfigurazione narrativa che marca la differenza tra un’opera interessante (ed « interessata ») e non. L’apprensione del meccanismo, un intarsio « multiculturale » intorno alla domanda « Come rispondere ? », che si riflette anche in certe soluzioni di montaggio degli « spazi », reiterate fino a sfiorare il manierismo (estreno africano/interno americano etc.) risulterà « fatale » al coinvolgimento e l’attesa di détours che possano vivificarlo sarà vana : non soltanto fiutiamo l’esito del racconto, ma ne presentiamo le tappe intermedie. In più, nella foga di concedere a tutte le parti in gioco il diritto di illustrare le proprie ragioni e « spiegarsi », gli autori finiscono col mancare il bersaglio, restando vittime di una sorta di « manicheismo di ritorno » che stempera e anestetizza la denuncia.
