TRAMA
Due giovani hanno un contatto solo telefonico. Lui ha alle spalle un trauma infantile mai superato, lei una situazione familiare problematica.
RECENSIONI
Tramonto dell'Est
La pellicola della Proskurina, forte di una presentazione “quasi” autoriale (il calamaio prediletto da Sokurov), si è trasformata nel bersaglio di crudeli stroncature piovutole addosso da ogni angolo del Lido: in realtà UDALIONNYI DOSTUP, pur senza rivoluzionare l’andamento del Festival, è un film senz’altro dignitoso, appena impreziosito da un paio di inquadrature pittoriche degne del suo maestro, che concede allo spettatore tutto il tempo per assorbire la degradata estetica dominante occasionalmente rischiarata da timidi raggi solari. Permeato da una sottilissima ironia che appare/scompare (il siparietto della senzatetto in automobile), l’oggetto russo in chiusura sterza decisamente sulla tragoedia prevedibile; ma non prima di aver compiuto un’ammirevole lavoro sul corpo, ponendo la splendida Dana Agisheva (di accecante bellezza, altro che Kidman) al centro della metamorfosi dall’apatico spleen (consenziente prigioniera della sua stanza) fino allo sbocciare del sentimento. Una strada prevedibile, certo, ma lastricata da frammenti d’estro figurativo (l’abbraccio schieliano con la madre) e bruscamente interrotta al momento giusto. Inevitabile il confronto con IL RITORNO di Zvyagintsev (Leone 2003), curiosamente richiamato nell’incipit con l’imbarcazione che affonda; ma rispetto al bluff (pseudo)tarkovskijano la stessa scena è qui più immediata e conturbante, ricreando un moto turbinoso per protagonisti e spettatore. Su questo lumicino ghiacciato soffiare a pieni polmoni sarebbe impietoso.

Le storie dei due protagonisti scorrono su binari inizialmente paralleli per poi incrociarsi sul filo del telefono: è un contatto filtrato, sicuro, dietro il quale i due si riparano, temendo delusioni, aggirando le incertezze e rinviando il tempo dell’incontro: lei viene da una famiglia borghese alla deriva, lui da un passato di dolore ancora bruciante. La storia, una volta avvenuto il primo contatto dei suoi protagonisti, ne espone i diversi malesseri, legati alle differenti condizioni di famiglia e di ceto, scorrendo farraginosa ed ellittica: sullo sfondo una nazione allo stremo, la difficoltà di instaurare un rapporto sincero e diretto, implicazioni psicoanalitiche. Tra Antonioni (l’incomunicabilità) e Bergman fanno capolino riflessioni un po’ trite e conclusioni, mai come in questo caso, telefonate (i due non si vedranno mai) tradotte in forma passabile.

Ermetismo vetusto
La cara Proskurina, smessi i panni della biografa di Sokurov, esordisce dietro la macchina da presa con un’opera che non riesce mai a superare quell’aria di dejà vu che affligge buona parte del cinema “d’autore” (o intellettualistico o cerebrale) dell’Est europeo, la stessa sensazione che suscitava il sopravvalutato Ritorno vincitore, lo scorso anno, del Leone d’oro. Facendo del cripticismo e della rarefazione risaputa la propria ragion d’essere, declinando tematiche care al Maestro (rapporto madre/figlia, la “pesantezza” della memoria), la regista improvvisata, che visti i risultati tornerà presto al calamaio, azzecca due o tre suggestive inquadrature (su tutte, un bel piano dalla notevole profondità di campo, costruito sull’opposizione interno/fuoco ed esterno/neve), coglie bene il dolore trasfiguratosi in follia sul volto di una anziana signora “che vuol sedere in auto” senza motivo apparente, ma toppa clamorosamente nei dialoghi (alcuni, francamente inascoltabili), nei quali si tenta di volare altissimo per poi planare nel pettegolezzo gratuito (compresa una battuta inutile sulla sessualità del povero Tom Cruise), come se il melange di opposti nati per non coincidere produca automaticamente grande Arte. Čecov resta un miraggio lontano e nemmeno il pronipote fesso del sommo drammaturgo avrebbe partorito simili perle di saggezza da Baci Perugina. Quando il faire du (in questo caso Sokurov) cela una totale assenza di idee e di “necessità” espressive. Un cinema nato vecchio, o meglio, che muore ancor prima di iniziare a vivere.
