Amazon Prime, Drammatico, Horror

RELIC

Titolo OriginaleRelic
NazioneAustralia
Anno Produzione2020
Durata89'
Fotografia

TRAMA

Quando Edna scompare, sua figlia e la nipote decidono di recarsi nella loro sperduta casa di famiglia per ritrovarla. Poco dopo il ritorno della donna, iniziano a percepire una strana presenza all’interno dell’abitazione.

RECENSIONI

Relic può essere considerata la risposta in chiave horror di The Father, l’opera con cui Florian Zeller affronta il morbo di Alzheimer dalla parte di chi si ammala e perde le coordinate del mondo. Le chiavi di lettura del debutto cinematografico di Natalie Erika James, prodotto anche grazie al sostegno di Jake Gyllenhaal e dei fratelli Joe ed Anthony Russo, presentato con buoni riscontri critici al Sundance 2020, possono essere anche altre, il film lancia suggestioni su cui lascia libertà di ragionamento, ma una delle più calzanti è quella che vede il film come metafora della malattia, se non l’Alzheimer comunque una forma di demenza senile. Il prologo, in tal senso, chiarisce già tutto: una donna anziana in stato confusionale, le festività natalizie in solitudine, qualcuno all’interno della casa. Quella presenza, poi esplicitata attraverso l’insorgere di chiazze di muffa sempre più grandi e contagiose, non è altro che la malattia in progressivo avanzamento. La donna scompare per qualche giorno e la sparizione rende necessario il ritorno alla casa di famiglia di figlia e nipote. Il rapporto tra le tre donne non è mai chiarito del tutto, non giunge a un punto di rottura o di conciliazione, ma si percepisce l’esistenza di molti non detti e di un logorio dovuto probabilmente allo scorrere inesorabile del tempo, forse però anche a incomprensioni pregresse mai del tutto esplicitate.

Ma dicevamo risposta horror, sì perché il film utilizza tutti i clichè del genere per depistare e intrattenere, mentre vuole focalizzarsi sulla messa in scena di un disagio dovuto al comparire di una malattia degenerativa irreversibile. Ecco quindi i rumori inspiegabili, i mobili che si spostano, le presenze impalpabili, le ombre misteriose, tutti elementi destabilizzanti che allungano la strada verso la consapevolezza. Un cammino irto di incomprensioni e fraintendimenti, in cui chi è malato cerca di minimizzare e chi gli è intorno il più delle volte non capisce. La casa, luogo di nodi familiari irrisolti per eccellenza, diventa quindi altro, lo spazio si modifica, ciò che cambia è proprio la percezione, quello che era sempre stato smette di essere e per comprendere appieno l’abisso di questo mutamento occorre saperlo riconoscere ed essere in grado di accoglierlo. Perché purtroppo non si può fare nulla per fermarlo. Solo così, quando ci si sarà spogliati delle vecchie sembianze umane per diventare altro da sé, quando questo processo sarà condiviso con chi si ama, quando un abbraccio avrà suggellato il lasciare andare delle umane pulsioni e fatiche, un nuovo equilibrio si potrà ristabilire. Ma la ruota è destinata a girare e ogni figlio si troverà, se l’ordine naturale delle cose viene rispettato, a dover lasciare andare i propri genitori. Il film della James dice tutto questo ancorandosi al genere e costruendo un horror da camera dove a inquietare è l’atmosfera e a parlare, più delle parole, sono soprattutto i luoghi e i silenzi. L’immaginario a cui attinge pesca da Hideo Nakata e Juan Antonio Bayona, ma ci sono echi anche di Babadook, Hereditary e It Follows.  L’orrore è più nei vuoti che nei pieni, in ciò che si intuisce più che in ciò che si vede. Pur con qualche momento di stanca il percorso è lineare, solido e ben condotto, con una chiara visione degli obiettivi, una buona direzione delle attrici e un’abile gestione degli spazi. L’allegoria dà un senso al film, se non la si coglie invece l’opera, pur seminando tracce di inquietudine, potrebbe rischiare di girare un po’ a vuoto.