Recensione, Thriller

RED DRAGON

Titolo OriginaleRed Dragon
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2002
Genere
Durata124'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo di Thomas Harris
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Impegnato nelle indagini su un serial killer “per famiglie”, l’agente William Graham chiede aiuto a un eminente psichiatra, il dottor Hannibal Lecter…

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RECENSIONI

Un po' come fa Dolarhyde con Lecter, Ratner si rivolge al film di Jonathan Demme, recuperandone gli attori, anche secondari (vedi Heald, insopportabile dottor Chilton), e citandolo esplicitamente al momento dell'incontro fra il cannibale e la sua mancata (per poco) vittima (per non parlare del finale, un ammicco fastidioso e didascalico). Nel tentativo di (ri)creare un'atmosfera d'implacabile angoscia, il regista squaderna tutto il repertorio più consueto, e ormai innocuo [shock improvvisi (e previsti, vista la ripetitività dello schema), montaggio forsennato, corpi e ambienti in frantumi, musica martellante], finendo per dare (poca) vita a un thriller né migliore né peggiore di tanti altri, liquidabile dopo una visione.
Come per caso (per azzardo), per fortuna (o per sfortuna), emergono a tratti elementi imprevisti e trascurati, indizi di un film nascosto all'interno di Red Dragon, cui non è stata data la possibilità di emergere. Una vena sottilmente ironica (il prologo, in cui la conoscenza dei 'precedenti' serve a decifrare in modo corretto l'allusiva successione delle immagini), un citazionismo forse ingenuo ma non stupido (i parenti terribili e l'ostinato degli archi di Psycho, il fuoco purificatore di Rebecca), il gioco di rimandi e metafore [il cibo (pasti nudi, fieri, dolenti) e la visione (i primi piani illuminati da specchi, vetri e pupille dilatate)], i riferimenti pittorici (e non solo) a Blake, persino la colluttazione conclusiva fra il poliziotto e il killer [nella quale è possibile rintracciare un riferimento al celebre sketch della guerra psicologica ('sei basso, sei troppo basso e nessuno ti ama') ideato da Woody Allen], soprattutto il rapporto fra Dolarhyde e la ragazza: tracce che avrebbero potuto costruire un film meno ingessato. Hopkins, nelle maglie (non solo metaforiche) di una parte statica, è irreprensibile, Fiennes e Watson si disimpegnano con classe, gli altri naufragano nelle rispettive macchiette.

Sono rari i casi in cui la carenza di idee trova riscatto nel rifacimento di un'opera cinematografica e il film di Bret Ratner parte gia' in svantaggio, dovendo confrontarsi con il riuscito e disturbante "Manhunter - Frammenti di un omicidio" di Michael Mann. Ma "Red Dragon" sconta anche il paragone con i due illustri precedenti tratti dalla saga letteraria di Thomas Harris: il folgorante e morboso "Il silenzio degli innocenti" e il meno riuscito, ma comunque interessante, "Hannibal". L'idea di un prequel tirato a lucido con cast altisonante sembra quindi basata esclusivamente sul tentativo di battere cassa, contando sul fatto che il film di Mann lo hanno visto in pochi e che l'infido Hannibal Lecter, grazie al carisma di Anthony Hopkins, e' diventato un'icona di malvagita' in grado di attirare spettatori in ogni parte del mondo. Sta di fatto che "Red Dragon" delude le gia' poche aspettative. Funziona come intrattenimento (c'e' pur sempre un maniaco imprevedibile, un poliziotto sulle sue tracce, colpi di scena a ripetizione) ma non aggiunge nulla di sostanziale ai due precedenti (ma cronologicamente successivi) episodi. In particolare stona il taglio spettacolare con cui la maggior parte delle situazioni sono risolte: il maniaco non vive in una casa, ma in una mega-villa, la cella di Hannibal non e' in una normale prigione, ma sembra la stanza di un castello, i colloqui in carcere non avvengono in un ambiente qualsiasi, ma in una specie di enorme ring in cui Hannibal viene addirittura tenuto al guinzaglio. Piu' che in un carcere di massima sicurezza sembra di essere in un albergo a quattro stelle, tra l'altro poco sicuro considerando che e' possibile intrattenere pericolosa corrispondenza e pure gabbare tutti telefonando a chicchessia. Ma sono tante le scelte troppo facili con cui il film perde via via mordente, dalle solite intuizioni geniali con cui si arriva all'identificazione del maniaco, fino al maniaco stesso, un muscoloso e pure cazzuto Ralph Fiennes, tutto tatuaggi e lucidita' mentale.
Gli interpreti sono convincenti, da Emily Watson perfetta come cieca ignara del pericolo, a Philip Seymour Hoffman, ormai abbonato ai ruoli sgradevoli. Edward Norton si conferma attore versatile, ma e' il suo personaggio, ridotto a supereroe solo acciaccato e mai davvero vulnerabile, ad essere troppo semplificato. In "Manhunter" mettersi nella testa dell'assassino porta il protagonista, e lo spettatore, a varcare il confine molto labile dei limiti delle pulsioni umane, mentre in "Red Dragon" il grigiore di Edward Norton e il suo ritiro nel mare della Florida, sembrano piu' che altro un riposo del guerriero in attesa di riscatto. Quanto a Anthony Hopkins, il suo terzo Hannibal conserva garbo e crudelta', ma perde un po' in fascino, soprattutto per il ripetersi di un cliche' e per oggettivi limiti anagrafici. In generale si puo' riscontrare che tutti i personaggi sono avvolti nello stereotipo, tutte le location sono suggestive, tutte le frasi sono ad effetto. L'anima del film sembra racchiusa nella domanda "Cosa puo' piacere al pubblico?" non considerando che la curiosita' nello spettatore nasce soprattutto dall'immedesimazione e non solo dall'ammirazione di un mondo esclusivamente cinematografico. Di conseguenza, nonostante il film si segua volentieri, manca una tensione capace di incollare allo schermo e, soprattutto, un punto di vista personale in grado di distinguere il film dai tanti thriller che circolano al cinema.