TRAMA
Koldo e Clara si sposano, ma, durante la festa del loro matrimonio, uno degli zii manifesta strani sintomi…
RECENSIONI
Rec 3 è una sardonica rottura con il passato, sfotte teoricamente l'idea dei due capitoli precedenti dando origine a un'operazione ibrida e sfacciatamente polemica.
All'esplodere dell'infezione i due cameraman (uno amatoriale, l'altro professionista) sono costretti ad abbandonare il proprio dispositivo per istinto di sopravvivenza, respingendo finalmente quell'ostentato voyeurismo che non smetteva mai di riprendere anche a costo di rimanerci secco.
Alla rottura della telecamera, suggellata con un dettaglio di questa agonizzante sul pavimento, partono i titoli di testa, inizia il film di genere vero e proprio. Ma qualcosa non torna e si capisce fin da subito.
La parodia è servita con un immaginario horror talmente antispettacolare da dare la nausea, privo di suspence, ai limiti della demenzialità, in un format che richiama indiscutibilmente quello televisivo e deride ogni pretesa di coinvolgimento.
E non viene nemmeno data la possibilità di comprendere questa Genesi dell'Apocalisse, se non per uno degli invitati che, durante la festa di matrimonio, innesca la pandemia generale.
Perché Rec 3 si pone come manifesto della poca coscienza critica collettiva, infastidisce con la farsa di una coppia di sposini indifferente a quanto le succede intorno, così malata per il proprio happy ending da aggrapparsi ed adattarsi miracolosamente alle situazioni più disparate.
Non c'è più interesse nel ca(r)pire la radice del Male (Rec e Rec 2), ciò che conta è l'inseguire la propria grottesca idealizzazione, sigillare un patto d'amore che sin'nalzi a inno dell'individualismo.
Negato l'apporto del mockumentary si entra nella finzione o meglio, si scappa in essa, censurando ogni pretesa di registrare liberamente quanto sta accadendo, inchinandosi a un universo di genere già preconfezionato e pateticamente déjà vu.
In una sequenza Koldo vede su uno schermo il volto di Tristana (la celebre ragazza posseduta dei Rec antecedenti), ne rimane alquanto spaventato, per poi comprendere che si tratta solo del riflesso di un normale infettato dietro di lui in procinto di attaccarlo. Con fare spedito gli conficca una mazza ferrata in testa e lo mette k.o.
Questo passaggio comico racchiude l'essenza stessa dell'operazione Rec 3, la sua fuga dalla verità e dalle sue responsabilità, l'omologazione di uno sguardo esso stesso contaminato dall'oscurantismo del sistema, sia quello cinematrografico, pronto a servirci il classico zombie movie telecomandato, che quello delle istituzioni, con i suoi limiti d'indagine da non valicare.
Lo spettatore può quindi assistere al suo scacco in atto, nella piena delusione per un prodotto che disattende tutte le aspettative e cerca di manifestare, sotto quella patina ludica, una sferzante, e forse troppo pretestuosa, sintomatologia politica.
'Un pizzico di cinema verité' è il motto che il regista del matrimonio ripete in continuazione con fare intellettualoide. Constatato che non vi è la possibilità di utilizzare liberamente il proprio occhio, opta per un suicidio (artistico) e rifugge dall'epidemia. La metafora di Rec 3 è servita.