Avventura, Azione, Fantascienza, Netflix

REBEL MOON DIRECTOR’S CUT

Titolo OriginaleRebel Moon Director's Cut - Part One & Part Two
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2024
Durata204' + 173'
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Quando le forze armate del Mondo Madre minacciano un tranquillo villaggio di contadini su una luna distante, una misteriosa outsider diventa l’unica speranza di sopravvivenza.

RECENSIONI

Due indizi saranno anche una coincidenza, ma l'uscita ravvicinata dei primi due capitoli dell'ambiziosa space opera firmata da Zack Snyder (al momento si parla di sei film previsti per Netflix, ordinati in una trilogia che vedrebbe ciascun capitolo suddiviso in due parti) ci permette quantomeno di arrivare con maggior rapidità ai proverbiali tre indizi che fanno una prova. Nel suo fallimentare gigantismo infatti, Rebel Moon conferma e amplifica tutte le perplessità portate alla ribalta da Army of the Dead - franchise nato con pirotecniche aspirazioni di espansione e poi zombificato in pochissimo tempo - rendendo immediatamente lampante una caratteristica dell'autore che finora non si aveva ancora avuto modo di testare, non con tale chirurgica precisione: nonostante sia (stato?) con ogni probabilità tra i più grandi, coraggiosi e personalissimi interpreti della cultura popolare nel cinema contemporaneo, Zack Snyder si scopre ora piuttosto fragile nella veste di creatore di mondi e di genuino costruttore di nuove icone. Da un lato dunque l'abilissimo traduttore, capace di maneggiare e rielaborare, in senso profondamente autoriale, materiale incandescente (gli zombi di Romero, il 300 di Frank Miller, il Watchmen di Alan Moore, Superman, Batman e gli altri supereroi della Justice League…); dall'altro l'architetto non all'altezza delle proprie ambizioni, costretto a dare priorità ad una narrazione faticosa e superficiale a discapito delle esasperazioni visive, vincolato ad una ultra-descrizione di personaggi che lo Snyder-traduttore poteva spesso dare per assodata, obbligato a soffocare uno stile che, quando non viene messo al centro del discorso e perseguito con l'ostinato desiderio di alzare sempre l'asticella, diventa mera ripetizione meccanica, firma poco interessante, inutile dichiarazione di residenza delle immagini

E per l'appunto non è un caso se in questo discorso non si fa rientrare il sottovalutato Sucker Punch, che prima di Army of the Dead e di Rebel Moon, era l'unico altro film di Snyder derivato da un suo soggetto originale. Lì, nel 2011, non di solo worldbuilding si trattava, non di serializzazione ed espansione a tutti i costi, ma di stile, di sperimentazione visiva e di commistione linguistica, in anni in cui forse ancora aveva senso cercare un punto di incontro tra gli standard dell'intrattenimento cinematografico e quelli dell'intrattenimento videoludico. Ora che invece gli sforzi dell'autore sembrano prediligere la costruzione di grandi universi da esplorare, ora che il pubblico vuole sapere tutto-ma-proprio-tutto di ogni personaggio, ora che la speculazione narrativa ha definitivamente prevaricato l'estasi visiva, Snyder prova a correggere il tiro e a parlare la lingua del presente, finendo tuttavia per esacerbare quelli che per vent'anni sono stati i suoi punti deboli. In questo modo, l'unica impresa che gli riesce è quella di scontentare tutti: sia i fan che da lui si aspettano i fuochi d'artificio, sia ovviamente i suoi detrattori più accaniti, che proprio su alcuni di questi elementi hanno combattuto in passato le loro miopi battaglie.

Presentato da Snyder alla Lucasfilm come possibile capitolo appartenente all'universo di Star Wars e poi riscritto per diventare un'opera autonoma in seguito all'acquisizione della casa di produzione da parte della Disney nel 2012, il progetto Rebel Moon rispetta, ma solo sulla carta, l'ambizione sfrenata del suo autore mantenendo vivo il legame con l'opera di George Lucas non solo in alcuni e prevedibili elementi ricorrenti del genere, ma anche nel rifarsi dichiaratamente di nuovo a Kurosawa (lì La fortezza nascosta, in questo caso, ancor più esplicitamente, I sette samurai). Come già in Army of the Dead, Snyder gioca - ampiamente fuori tempo massimo - la carta del pastiche, frullando superficialmente fantascienza, western, samurai, war movie e nazisploitation (quest'ultimo molto più evidente nelle due director's cut: ci torneremo), ma recuperando, dai generi, solo luoghi e situazioni ricorrenti, come fossero grandi cataloghi d'arredamento da cui selezionare all'occorrenza questo o quell'elemento, mai immagini, tempi e sentimenti. Ed è qui che la grandeur tipica di Snyder si sgonfia per farsi sterile imitazione di se stesso, un auto-falso d'autore al pari del Wonder Woman di Patty Jenkins o, peggio, del Black Adam di Jaume Collet-Serra (entrambi chiamati a replicare goffamente lo Snyder-style per ragioni di continuity produttiva), neppure in grado di trovare quella lucidità e quello slancio d'umiltà che gli consentirebbero quantomeno di comunicare attraverso le immagini de-autorializzate del contemporaneo per rendere il tutto, se non più interessante, almeno più centrato.

In questa veste, Rebel Moon è invece il desolante progetto di un autore improvvisamente incapace di instillare nelle immagini quella solennità che il racconto richiederebbe (e che Snyder ha quasi sempre dimostrato di saper padroneggiare), talmente ingabbiato nelle maglie della narrazione da sottostimare in toto la componente visiva (ogni pianeta ha la stessa forma, la stessa polvere, la stessa luce: un'approssimazione che nell'anno di Dune - Parte Due si fa ancora più evidente). È un cinema che vorrebbe essere grande (riferimenti alti, costruzione di una trilogia, durata inutilmente mastodontica), quando invece è piccolissimo, fragile e triste come le motivazioni che stanno alla base del rilascio della doppia versione delle due parti, un PG-13 e, pochi mesi dopo, un director's cut R-Rated che nell'aggiungere maldestramente sesso, sangue e violenza mira ad inscrivere il film nel filone dell'exploitation, senza però mai riuscire ad evocarne lo spirito. Naturalmente l'operazione, nella sua vacuità (non si tratta, come in passato, di battaglie con i produttori o con la censura per rendere più vendibile il film in sala, bensì di una scelta a monte dello stesso Snyder e condivisa da Netflix) non fa davvero nulla per nascondere la sua evidente natura di banale sfruttamento dell'ormai proverbiale Snyder Cut e finisce per soffocare qualsiasi dimensione vagamente epica derivante dall'intenzione di portare alla luce una visione troppo grande e proibita per essere filmata. Del Zack Snyder che conosciamo e che abbiamo amato non rimane dunque che polvere, segni funerei atti a ricordarne qua e là la riconoscibilissima firma autoriale (i ralenti, le parabole cristologiche, il tema del confronto/scontro tra l'uomo e il divino), mai però sviscerati con la splendida caparbietà dei tempi migliori, mai in grado di generare qualsivoglia discussione, sana o tossica, poco importa a questo punto. Perché in Rebel Moon giacciono solo immagini piatte e insignificanti, mondi vuoti e replica(n)ti, fantasmi che, incapaci di essere davvero anonimi, si sforzano pateticamente di sembrare autentici nella loro ambizione.