TRAMA
Prima un nipotino strappato al nonno, poi una reporter che ha scoperto un commercio illegale di carne animale: sono le prime vittime di un ibrido mostro-cinghiale che terrorizza l’outback australiano.
RECENSIONI
Nonostante sia firmata da Everett De Roche, a partire da un romanzo ‘ecologista’ di Peter Brennan, non sono la sceneggiatura ordinaria e il suo racconto poco intrigante il motivo di interesse di questo horror australiano, bensì la messinscena, notevole a livello tecnico-espressivo, di Russell Mulcahy, guru-creatore dell’iconografia dei primi e più importanti videoclip musicali (dal capostipite ‘Video killed the radio star’ dei Buggles agli esotismi fantastici dei Duran Duran). Ogni sequenza, ogni inquadratura pare attentamente studiata per essere inventiva ed evocativa attraverso ogni mezzo possibile, dall’effetto fotografico (i colori di Dean Semler) all’illuminazione, dall’anomalia del mostro animatronic al montaggio veloce (per i tempi) iconoclasta. Come renderà tristemente evidente nella produzione a seguire (Highlander escluso), questo talento è inerme di fronte a script mediocri, che non sappiano indicare con precisione quale drammaturgia adottare per una buona esposizione del racconto e un efficace dispiegamento delle emozioni in ballo. Per questo il suo terreno ideale erano i video musicali, dove dare corpo con le sole immagini a sentimenti e storie già perfezionate. De Roche (Patrick) era un punto di riferimento per il cinema dell’orrore che si stava sviluppando in quegli anni in Australia ed è alla ricerca di un prodotto che bissi gli umori del suo Long Weekend ma è la creatività formale di Mulcahy a diventare sostanziale, con tensioni degne di Spielberg (Lo Squalo, non a caso) e scene figurativamente incubali che, cosa non da poco, sanno anche far paura, grazie anche a quell’aria repulsiva che solo l’outback ‘down under’ e i geni da Wake in Fright sanno avere. Buon commento sonoro di Iva Davies.