TRAMA
C’era una volta Rapunzel, rapita ancora in fasce e rinchiusa per 18 interi anni in una torre a causa dei suoi capelli magici. Fin quando nella sua prigione non arrivò un giovane ladro…
RECENSIONI
Il pensiero è quasi inevitabile. Se gli anni 2000 hanno visto, sia pur con esiti qualitativamente eterogenei, il complessivo trionfo dell'animazione targata Pixar, l'ultimo decennio ha segnato al contempo un innegabile declino del cartone disneyano più tradizionale. La Disney-senza-Pixar, insomma, ha vissuto una destabilizzante crisi d'identità sotto i colpi, da un lato delle favole-antifavole dissacranti (più nella forma che nella sostanza) alla Shrek targate Dreamworks, dall'altro della serie di capolavori partoriti dalla Pixar.
Di fronte al punto di non ritorno rappresentato dalle favole che parodizzano se stesse, la Pixar ha infatti saputo superare se stessa sul piano della qualità, dando vita a film classici e moderni al tempo stesso (da Alla ricerca di Nemo e Monsters e Co. salendo fino a Wall-e, Up, Toy story 3).
La produzione Disney, al contrario, è apparsa sempre più in affanno, superata ed incapace di competere con la sorella più dotata. L'offerta dell'ultimo decennio, con qualche dignitosa eccezione (Lilo e Stitch, Bolt, Le follie dell'imperatore) ha consolidato la sensazione di questa difficoltà, del vero e proprio smarrimento della strada e della linea artistica che aveva reso esaltanti gli anni Novanta. Titoli come Dinosauri, Atlantis, Il pianeta del tesoro hanno offuscato il marchio fino a trasformarlo in una sorta di produzione Disney di serie B, rifugio per pellicole anche tenere e nostalgiche ma irrimediabilmente "minori" (Koda fratello orso, Mucche alla riscossa, Chicken Little).
Fino al 2009, anno di una nuova sfida e, più importante, della volontà di puntare con forza sulle pellicole Disney recuperando l'identità del marchio: ritorno al disegno a mano ed alla favola classica. La principessa e il ranocchio non era un capolavoro ma testimoniava un investimento deciso ed un'inversione di tendenza, con un risultato almeno soddisfacente sul piano qualitativo, non del tutto su quello prettamente economico.
E' probabilmente per questo che quest'anno Rapunzel torna alla computer grafica. Il progetto, però, rimane lo stesso: offrire una favola nel senso più classico, ma raccontata in grande stile e con linguaggio moderno.
Anche in questo caso si attinge dai fratelli Grimm, ma la fiaba Raperonzolo costituisce - proprio come accadeva ne La principessa e il ranocchio - solo lo spunto di partenza, largamente rielaborato. Quel che rimane è la ragazza sottratta alla famiglia e rinchiusa in una torre fino all'arrivo di un giovane che se ne innamorerà; oltre, naturalmente, alla lunghissima chioma bionda.
Un primo cambiamento rispetto all'originale è rappresentato dalla villain, non più strega malvagia derubata dei raperonzoli (fatti saggiamente uscire di scena), bensì una vecchia vanesia che non accetta il passare del tempo e si serve della magia dei capelli per restare eternamente giovane. La descrizione del suo rapporto egoistico e soffocante con la falsa giovane figlia è un chiaro riferimento alla morbosità dei rapporti genitori-figli che rifiutano il distacco conseguente alla crescita. L'egoismo del genitore-padrone che terrorizza il figlio rispetto ai pericoli del mondo esterno finendo per tarpargli le ali viene descritto con una forza che un po' sorprende in un prodotto per famiglie.
Il più importante rovesciamento operato dalla sceneggiatura sta però nel rendere la ragazza una principessa ed il protagonista maschile un ladro (non più un principe come volevano i Grimm).
Per quanto non ci si riesca ancora a liberare definitivamente del sangue blu, questo cambiamento consente di introdurre il personaggio più riuscito del film, il giovane bandito che si imbatte in Rapunzel liberandola dalla torre e sconvolgendole la vita. Flynn Rider, erede cinico del ladruncolo Aladdin, è la più compiuta figura di mascalzone redimibile incontrata ad oggi in una fiaba. Nella sua caratterizzazione risulta trascinante per simpatia e potenziale umoristico e sostiene buona parte dell'azione e del versante comico del film.
Con Flynn sembrano archiviati perché fuori moda i principi senza macchia e senza paura, ravvisabili con qualche aggiornamento da Biancaneve e La bella addormentata fino a La sirenetta, Pocahontas e Mulan. La figura maschile si è evoluta infatti molto più lentamente rispetto a quella femminile, per la quale era impellente introdurre l'indipendenza ed un ruolo attivo nelle vicende. A ben vedere Rapunzel, per quanto volitiva a fasi alterne ed armata di padella, è la meno "dominante" fra le eroine Disney degli ultimi vent'anni (ma questo lo giustifica la sua storia).
La decostruzione del "principe azzurro" è in linea col moderno approccio almeno in parte parodistico e, prima di tutto, autoironico. Tutto questo fatto salvo il trionfo dell'amore, l'esaltazione dei sogni, l'inattaccabilità dell'happy end.
Canovaccio base - innamoramento, maturazione dei caratteri, falso tradimento, scioglimento - ma con molta ironia, molto ritmo, moltissimo brio.
Grazie anche ai comprimari animali, in questo caso muti: un camaleonte estremamente espressivo e pragmatico ed un cavallo-segugio incubo di ogni bandito.
Quel che non funziona a perfezione è la parte musical, semplicemente perché il mitico Alan Menken (La sirenetta, La bella e la bestia, Aladdin) non è più ispirato come una volta e non riesce a fare dei numeri musicali i pezzi forti del film: funzionano visivamente, ma le melodie si dimenticano in fretta.
Si può poi perdonare il trucchetto con cui la voce narrante iniziale induce ad un parziale inganno, ma quello che sicuramente non vogliamo più vedere in un film d'animazione (e non!) è una morte apparente.
Per il resto la Disney festeggia degnamente il suo cinquantesimo lungometraggio animato e sembra davvero aver ritrovato la sua strada.
Era anche il primo classico in 3D, una scelta d'obbligo ormai. Ma avrebbe funzionato altrettanto bene anche in 2D.
